Repubblica federale (9.372.614 kmq; 296.414.000 ab.) dell'America settentrionale.
Confina a Nord con il Canada, a Est con l'Oceano Atlantico, a Sud con il Messico,
affacciandosi anche sul golfo omonimo, e a Ovest con l'Oceano Pacifico. Dal 1959
comprende anche gli Stati non contigui dell'Alaska (V.) e delle Hawaii
(V.). Capitale: Washington. Città principali: Chicago, Dallas, Filadelfia,
Las Vegas, Los Angeles, New York, San
Francisco. Ordinamento: Repubblica federale, costituita da 50 Stati e dal
Distretto Federale della capitale, District of Columbia. Un'Assemblea di
“grandi elettori”, eletta da un corpo elettorale, vota ogni quattro
anni il presidente (il mandato è rinnovabile una sola volta), insieme a
un vicepresidente, che gli succede in caso di morte, di dimissioni o di
inabilità. Al presidente spetta il potere esecutivo, che esercita con
l'ausilio di un Gabinetto presidenziale, composto dai capi di dipartimento da
lui nominati e verso di lui responsabili; ha la facoltà di presentare
leggi e può esercitare su quelle proposte dal Congresso il diritto di
veto. Prepara il bilancio finanziario e propone annualmente un programma
politico; è il comandante supremo delle Forze Armate e, coadiuvato dal
segretario di Stato (ministro degli Esteri) e dietro approvazione del Senato,
dirige la politica estera del Paese. Il potere legislativo spetta al Senato (100
membri) e alla Camera dei rappresentanti (435 membri), che insieme formano il
Congresso e che vengono eletti a suffragio universale diretto e in numero
proporzionale alla popolazione dei singoli Stati (ogni Stato ha due senatori e
almeno un rappresentante). Il potere giudiziario spetta alla Corte Suprema e ai
Tribunali federali. L'ordinamento dei singoli Stati è così
strutturato: ciascuno ha una propria Costituzione e un proprio Congresso,
formato da due Camere, cui spetta il potere legislativo; il governatore, eletto
nella maggioranza dei casi a suffragio universale diretto, svolge a livello
locale le stesse funzioni del presidente. Dagli
S. dipendono, in varia
maniera: la baia di Guantánamo, le Isole Vergini Americane e Puerto Rico
(nell'America Centrale); l'Isola di Guam, le Marianne Settentrionali, le Isole
Midway, le Samoa americane e altri piccoli territori insulari (nel Pacifico);
è considerato statunitense pure quel settore dell'Antartide compreso tra
il Territorio Antartico Britannico e la dipendenza neozelandese di Ross. Moneta:
dollaro USA. Lingua: inglese. Religioni: protestante (58%) e cattolica (21%);
esistono minoranze ebraiche e musulmane. Popolazione: è composta da
bianchi (80%), neri (12%), Messicani (5,4%), Amerindi (0,8%), Cinesi (0,7%),
Filippini (0,6%), Giapponesi (0,3%).
GEOGRAFIAGeologia e
morfologia: muovendo da Nord, le coste atlantiche sono alte e frastagliate
da profonde insenature, spesso notevolmente ramificate (penisola di Capo Cod,
estuario del fiume Hudson, dove si sviluppa New York, baia del Delaware e di
Chesapeake, dove sbocca il Potomac e sorge Washington) fino a Capo Hatteras, a
Sud del quale diventano basse e orlate da un cordone di dune sabbiose e da vaste
lagune. La foce del fiume Savannah, ove si trova la città omonima, spezza
la continuità; scendendo verso Sud la fascia costiera pianeggiante si
amplia nella bassa penisola della Florida, la cui recente copertura di sedimenti
argillosi ha generato i caratteristici
everglades, aree paludose di
notevole interesse naturalistico. La penisola prosegue verso Sud con una frangia
di isolette coralline (Florida Keys), mentre la monotonia della costa del golfo
del Messico, piatta e paludosa, è interrotta dall'ampio delta del
Mississippi. Procedendo verso l'interno, la grande estensione pianeggiante
è delimitata dalla cosiddetta “linea delle cascate” (
falls
line), oltre la quale un ampio falsopiano si innalza progressivamente fino
alla dorsale dei Monti Appalachi, strutturata in diverse catene parallele e
orientata, come le altre fasce orografiche maggiori, in senso longitudinale.
Tale sistema di origine molto antica (inizio del Paleozoico) è stato
interessato da un sollevamento più recente, ercinico, che ne ha addolcito
le forme, cosicché la massima elevazione, il Monte Mitchell, nelle Blue
Ridge Mountains, è modesta (2.037 m); più a Sud la catena digrada
verso la costa con un penepiano e verso l'interno con altopiani prodotti da
erosione e denominati Cumberland Plateau. Continuando verso Ovest, fra il
sistema appalachiano e quello delle Montagne Rocciose, si allarga la vastissima
regione delle Grandi Pianure, solcata dai fiumi discendenti dagli Appalachi, che
confluiscono poi nel Mississippi. Scendendo verso il golfo del Messico, si
incontra una regione di dolci colline moreniche e le uniche elevazioni sono
quelle dei Monti Ozark e Ouachita; a Sud, il territorio piatto e uniforme, con
fertili suoli alluvionali, coincide con il bacino del Mississippi, fino a
raggiungere la costa bassa e sabbiosa, interrotta solo dall'ampio delta del
fiume. A Nord, sulla destra orografica del Mississippi, nel territorio solcato
dal Missouri, le
badlands, inospitali aree aride, modellate da una forte
erosione in solchi, creste e torrioni e altre forme tormentate, si arrestano
contro la barriera delle Montagne Rocciose, di origine terziaria, ma interessate
anche da più recenti sollevamenti dell'era meso-cenozoica. Strutturate in
un complesso sistema di dorsali e rilievi e in una serie intricata di catene (i
cosiddetti
ranges), con cime che raggiungono i 4.200 m, le Montagne
Rocciose si innalzano bruscamente con una bastionata fortemente inclinata.
Più compatte nella sezione meridionale (Front Range, Sangre de Cristo),
si fanno più disordinate e basse al centro (Monti Laramie, Big Horn,
Absaroka e Wasatch, con l'altopiano del Wyoming, circondato da una serie di
catene minori). Le zone più elevate, ricoperte da nevi perenni,
coincidono con affioramenti del basamento granitico continentale (caratteristico
l'Half Dome nella zona del Teton Range); gli estesi altopiani centrali, invece,
corrispondono a blocchi fratturati dello stesso e a falde di sovrascorrimento.
Verso Occidente i rilievi si addolciscono in una regione molto ampia, divisa
dalla Catena dei Wasatch in altopiano del Colorado a Sud-Est e Gran Bacino a
Nord-Ovest. Il paesaggio arido e desertico del primo presenta rocce colorate e
aspetti di stupefacente bellezza; si estende per più di 500.000 kmq ed
è caratterizzato da terrazzi tabulari di rocce stratificate, in cui
l'azione delle acque ha scavato solchi profondi, che precipitano in
corrispondenza del corso principale del fiume Colorado: questo ha creato il
Grand Canyon, che sprofonda per 1.800 m. Procedendo verso la costa del Pacifico,
si incontrano i deserti dell'Arizona e del Nevada, coperti di sedimenti salini.
Nel Gran Bacino, invece, si aprono laghi, salmastri a causa dell'intensa
evaporazione: tra questi, il Gran Lago Salato, il Lago Utah e altri minori, e
depressioni periodicamente ricoperte d'acqua. Tutta la regione è
estremamente arida e modellata dall'erosione eolica. Profondissima la Death
Valley, sul cui fondo stagnano acque ad alta concentrazione salina, che scende
fino a 86 m sotto il livello del mare. Nel settore settentrionale
un'attività vulcanica, tuttora in corso con fenomeni secondari, quali i
geyser del parco di Yellowstone, ha creato una copertura di rocce laviche, che
sconfina poi nell'altopiano del Columbia, modestamente elevato, inciso da gole
profonde e limitato a Est dai Monti Bitterroot. A Ovest dei grandi altopiani si
ergono catene poderose: la Catena delle Cascate, presso il confine con il
Canada, e la Sierra Nevada a Sud. Le cime maggiori superano i 4.000 m (i 4.418
m. del Monte Whitney rappresentano la massima elevazione degli
S., fatta
esclusione per le cime nel territorio dell'Alaska), sono coperte da fitte
foreste di conifere e da nevi eterne e rappresentano un'importante riserva
idrica per i territori interni. Parallela alla costa corre la Catena Costiera,
non molto elevata e formatasi durante il corrugamento alpino: a riprova
dell'origine recente, i continui fenomeni sismici di assestamento. I Monti
Klamath saldano questa catena a quella delle Cascate, mentre una profonda
depressione, la Great Valley, solcata e scavata dalle acque del Sacramento e del
San Joaquin, la separa dalla Sierra Nevada. ║
Idrografia: fatta
eccezione per il San Lorenzo, che nasce dai Grandi Laghi e scorre in senso
trasversale rispetto ai meridiani, i grandi fiumi statunitensi hanno un
andamento longitudinale, diretto da Nord a Sud. I fiumi che sboccano
nell'Atlantico scendendo dagli Appalachi (Connecticut, Hudson, Delaware,
Susquehanna, Potomac, Savannah), sono interrotti da cascate e rapide, specie in
corrispondenza della
falls line, e pertanto vengono sfruttati a scopo
idroelettrico; il maggior sistema fluviale del Nord America, il bacino del
Mississippi-Missouri, raccoglie le acque dei fiumi delle Grandi Pianure centrali
per sfociare poi nel golfo del Messico in un caratteristico delta digitato e
molto esteso; solo l'Alabama scorre direttamente verso Sud e sbocca poche
centinaia di chilometri più a Est. Gli affluenti di sinistra del
Mississippi discendono dai Monti Appalachi (Ohio, Kentucky, Tennessee); quelli
di destra dalle Montagne Rocciose: il maggiore è il Missouri, che, ricco
delle acque del Platte, il fiume principale del Wyoming e del Nebraska,
confluisce nel Mississippi poco a Nord di Saint Louis, dopo aver percorso oltre
4.000 km, quindi più di quanti ne percorra, dalle sorgenti alla foce, il
Mississippi stesso, che però resta il fiume maggiore per la portata
nettamente superiore e il regime costante. Il suo corso ha un'ampiezza compresa,
nei vari punti, tra 1 e 3 km e, scorrendo su terreno pianeggiante, ha poca forza
erosiva. A Ovest del delta del Mississippi, il golfo del Messico riceve il
Sabine, il Trinity e il Brazos. Anche le acque della sezione meridionale delle
Montagne Rocciose sfociano nel grande golfo, essendo confluite nel Pecos e nel
Rio Grande, che nel tratto inferiore prende il nome di Rio Bravo e segna il
confine con il Messico. I due soli sbocchi al mare della vasta regione dei
bacini interni sono il Colorado, che si getta nel golfo di California, quindi
fuori dal territorio statunitense, e il Columbia che, raccolte le acque dello
Snake, sfocia a Nord, nel Pacifico. Pochi gli altri fiumi che tagliano questa
costa: il Klamath e, più a Sud, il Sacramento e il San Joaquin, che si
uniscono prima di sfociare nella baia di San Francisco. Numerosi corsi d'acqua
minori non riescono a raggiungere l'oceano e si perdono all'interno, evaporando
a causa della grande secchezza del clima. Notevoli i bacini lacustri del
territorio statunitense: nel settore occidentale, il Gran Lago Salato, che
è quanto resta di un antico bacino ben più vasto; a Nord, i Grandi
Laghi, scavati dalla grande calotta glaciale quaternaria e tagliati
longitudinalmente dal confine con il Canada: i più estesi sono il
Michigan, l'Huron, l'Eire, l'Ontario e il Lago Superiore e di questi solo il
primo appartiene interamente agli
S. ║
Clima: nonostante i
due oceani, che bagnano gli
S. a Est e a Ovest, il clima è di tipo
continentale e determinato, più che dalla fascia delle medie latitudini
in cui il vasto territorio si trova, dalla dislocazione dei rilievi e
dall'influsso delle correnti marine costiere. L'afflusso delle masse d'aria
oceaniche provenienti dal Pacifico è contenuto dalla poderosa barriera
che le Montagne Rocciose oppongono: solo la zona costiera ha un clima mite,
addolcito anche dalle correnti marine provenienti dal Giappone, e
l'umidità non riesce a superare lo spartiacque, oltre il quale domina
un'aridità desertica. Invece l'afflusso di aria umida proveniente
dall'Atlantico supera agevolmente la catena dei Monti Appalachi e comunque le
precipitazioni, accentuate presso la costa, decrescono progressivamente verso
l'interno (600 mm annui nella valle del Mississippi). Anche le temperature
dipendono più dalla circolazione d'aria connessa alle correnti marine e
alla distribuzione delle catene montuose, che non dalle latitudini: l'influsso
mitigatore dell'Atlantico è più sensibile a Sud di Capo Hatteras,
dove si fa sentire la benefica influenza della corrente del Golfo e la
temperatura media si innalza gradatamente (a Savannah si raggiungono i 10
°C in gennaio, senza superare i 28 °C in luglio), fino ad assumere
caratteristiche subtropicali e, in Florida, tropicali. La sezione settentrionale
della costa atlantica, invece, interessata dall'afflusso di aria fredda prodotto
dalla corrente del Labrador, ha inverni rigidi, con temperature inferiori a 0
°C, estati calde (oltre 25 °C) e piovosità abbondante. Alle
medesime latitudini, sulla costa pacifica, si verificano condizioni climatiche
ed escursioni termiche stagionali differenti: a Los Angeles, si passa dai 13
°C in gennaio ai 22 °C di luglio, mentre a Seattle, nel Nord, i valori
corrispondenti sono di 5 e 18 °C. Al centro degli
S., la regione
delle Grandi Pianure è soggetta alla circolazione atmosferica, non
ostacolata da alcuna catena montuosa: le dolci colline moreniche del Nord non
oppongono alcuna resistenza all'aria gelida che può spingersi fino a
latitudini tropicali, mentre l'influsso dei Tropici scatena potenti tifoni nella
regione costiera del golfo del Messico, specie verso la fine della stagione
estiva. In questa vasta regione centrale pianeggiante le medie estive sono
ovunque alte, mentre d'inverno le temperature del settore centro-settentrionale
sono notevolmente più basse, rispetto a quelle della costa del golfo, e
presso il confine con il Canada le medie di gennaio toccano frequentemente i -15
°C. La regione delle Montagne Rocciose ha chiaramente un clima montano, con
forti escursioni stagionali e precipitazioni più accentuate rispetto alla
zona delle Pianure. Tuttavia nei bacini interni, dove la temperatura estiva
è elevatissima (Death Valley: massima 58 °C) l'aridità
raggiunge valori molto alti. ║
Vegetazione: alla grande
differenziazione climatica degli
S. corrisponde una grande varietà
nella vegetazione. La fascia costiera atlantica, caratterizzata da dune sabbiose
che racchiudono vaste lagune, è prevalentemente agricola e coltivata a
granturco, tabacco e frutta; scendendo verso la Florida il clima caldo-umido di
tipo tropicale favorisce una vegetazione lussureggiante e la coltura di agrumi.
Lungo il golfo del Messico la vegetazione tropicale lascia via via spazio a una
flora xerofila, mentre muovendo verso l'interno, fino alla valle dell'Ohio,
predominano estese praterie di graminacee. La regione dei Monti Appalachi, ricca
d'acqua, è caratterizzata da un manto di latifoglie, soprattutto faggi,
betulle e querce, che diventa di conifere procedendo verso Nord (Maine), oltre
la latitudine di Washington. Nel New England dominano le foreste di
caducifoglie. Traversate le vaste praterie interne, si raggiunge la zona delle
Montagne Rocciose, dove la vegetazione è costituita da conifere a Nord
(la copertura è totale nel bacino del Columbia), da latifoglie al centro
e al Sud; oltre i 3.000 m prevalgono le praterie di alta montagna. I bacini
interni, caratterizzati da una forte siccità, hanno un aspetto desertico
e le piante che riescono a viverci sono, di norma, quelle xerofile, in
particolare artemisia, yucca e cactus. Dove l'aridità è minore,
crescono i pini. Il clima decisamente alpino della Sierra Nevada e della Catena
delle Cascate comporta la massiccia presenza di conifere, una risorsa preziosa
che i parchi nazionali preservano accuratamente. La Catena Costiera riceve, nel
versante occidentale, i venti umidi provenienti dal Pacifico ed è
interessata da abbondanti precipitazioni che conferiscono alla folta vegetazione
di conifere un aspetto particolarmente lussureggiante: caratteristici il pino
Douglas e la sequoia. Se si eccettuano le catene montuose e la fascia costiera
pianeggiante, con un clima umido e tiepido e adibita a colture mediterranee,
l'Ovest degli
S. ha una vegetazione prevalentemente steppica: scendendo
verso Sud, presso il confine con il Messico, il caldo secco aumenta e lascia
spazio alle sole piante xerofile e alle cactacee (V. anche AMERICA).
║
Fauna: V. AMERICA.
Cartina degli Stati Uniti d'America
ECONOMIAParticolari
condizioni geografiche (l'ampiezza della zona fertile, la ricchezza delle
risorse minerarie, ormai quasi completamente conosciute) e storiche (lo
straordinario afflusso, a partire dal XVII sec., di centinaia di milioni di
persone che, animate da spirito pionieristico, hanno popolato territori sempre
nuovi, conquistando nuove risorse e favorendo lo sviluppo delle forze
produttive) hanno contribuito alla crescita economica degli
S. che, in
seguito allo smembramento dell'Unione Sovietica all'inizio degli anni Novanta,
sono la principale superpotenza economica della storia contemporanea. Essi
figurano al primo posto nel mondo per la produzione agricola industriale,
mineraria, energetica e per il valore del prodotto nazionale lordo. ║
Agricoltura: il settore agricolo è straordinariamente sviluppato,
grazie agli investimenti fatti dallo Stato nella ricerca, che hanno permesso ai
coltivatori di sfruttare al meglio il terreno a loro disposizione, anche,
negli ultimi anni, con l'uso di piante modificate geneticamente. Basilari in
questo senso, lo studio del suolo, delle caratteristiche climatiche, unitamente
a un grande impiego di mezzi meccanici e alla possibilità di trattare
vaste zone con anticrittogamici e fertilizzanti (che vengono diffusi con aerei
ed elicotteri), procedimento poi esteso anche altrove. La differenziazione dei
prodotti, strettamente connessa alle varietà climatiche, alla metà
del XX sec. si organizzò in fasce (
belt), che derivarono il nome
dalla coltura predominante:
corn (mais)
belt tra i Grandi Laghi e
gli Appalachi,
wheat (frumento)
belt, dagli Appalachi verso il
Mississippi e verso il confine canadese,
cotton belt negli Stati del Sud,
ecc. In seguito, assumendo il mercato dimensioni mondiali, tali fasce si
andarono via via confondendo; con lo scopo di mantenere elevati i prezzi, si
programmò la riduzione di alcune produzioni, fra cui, ad esempio, quella
del frumento, mentre nel
corn belt il mais cedette alla soia.
Attualmente, i circa 2 milioni di aziende agricole hanno un'estensione media di
150 ettari, ma la maggior parte sono piccole, non superiori ai 75 ettari. Alla
conduzione diretta si affiancano una gestione agricola
part-time e il
largo impiego di braccianti immigrati clandestinamente dal Messico
(
braceros), specie nelle zone a coltura ortofrutticola, dove la richiesta
di manodopera stagionale è più sensibile. La coltura del mais, la
cui produzione è destinata principalmente al foraggio, interessa la
maggior parte del territorio agricolo; quella del frumento riguarda in special
modo il bacino del Mississippi: la metà del prodotto totale viene
esportata, fatto che pone il Paese in posizione strategica nel mercato mondiale.
Pure i cereali secondari, orzo, avena e sorgo, prodotti per uso animale, sono
molto diffusi, laddove la produzione di riso è, se si esclude l'Asia,
seconda solo a quella brasiliana. Patate, barbabietole da zucchero, colza e
girasole sono diffusi un po' ovunque, mentre le regioni più calde del Sud
(California, Arizona, Texas e Nuovo Messico) sono interessate da colture
subtropicali, quali arachidi, agrumi, soia, cotone e tabacco. Le Hawaii
coltivano intensamente l'ananas. La vinicoltura californiana è superata
solo da quella dei Paesi mediterranei. Infine, dalle zone montuose si ricavano
enormi quantità di legname, quasi un terzo dell'intera produzione
mondiale di cellulosa e carta da giornale. ║
Allevamento: il
patrimonio zootecnico statunitense, ricchissimo, è costituito soprattutto
da bovini e suini e consente un'alimentazione in prevalenza proteica, integrata
dai prodotti ovini della zona dei Grandi Laghi, e da quelli anch'essi
abbondanti, della pesca che, al quinto posto mondiale per la quantità di
pescato, dispone di porti ben attrezzati: San Pedro (California), Cameron e
Dulac (Louisiana), Pascagoula (Mississippi). Il bestiame bovino viene allevato
in stalle nelle zone orientali (fino agli anni Cinquanta a ridosso del
corn
belt, che forniva il mais per il mangime, nel cosiddetto
dairy belt,
in cui si sviluppavano le attività lattiero-casearie) e all'aperto, allo
stato brado, nelle grandi distese dell'Ovest; qui i
cowboys sono tuttora
molto numerosi e dispongono di un decimo dei cavalli del mondo. ║
Risorse minerarie ed energetiche: le risorse minerarie sono ingentissime
e, a differenza di quanto accade in altri Paesi, oggi quasi completamente
conosciute e sfruttate con parsimonia, così da ritardarne l'esaurimento.
Infatti le maggiori compagnie estrattive impegnate nel mondo sono statunitensi,
il che permette al Paese di importare le materie prime a costi limitati. Quale
rovescio della medaglia, si registrò una crisi occupazionale in diverse
regioni, fra cui quella carbonifera degli Appalachi. Il patrimonio nazionale
vanta notevoli giacimenti di ferro, specie presso il Lago Superiore, e il
primato mondiale per il molibdeno e per il magnesio. Platino, vanadio, antimonio
e cadmio sono pure presenti in grandissima quantità; gli
S. sono
secondi produttori mondiali di oro e argento (Mountain, Alaska), rame (Mountain,
Utah) e piombo (Missouri, Idaho, Mountain). Minori, invece, i giacimenti di
manganese, tungsteno e bauxite. Notevole pure la ricchezza dei minerali non
metallici: salgemma, fluorite, zolfo, talco, mica, caolino e fosfati. Il settore
energetico dispone di cospicui giacimenti che, tuttavia, negli ultimi anni, sono
meno sfruttati, al fine di evitarne l'esaurimento. La quasi totalità
dell'estrazione petrolifera si concentra in Texas, Alaska, California e
Louisiana; nuovi giacimenti si cercano nei fondali oceanici del Pacifico, lungo
il confine con il Canada e nelle Montagne Rocciose. Inoltre, gli
S.
occupano la seconda posizione mondiale nella produzione di gas naturale, che
proviene dal Texas e dalla Louisiana. Le zone produttrici sono collegate con le
raffinerie e con i centri di consumo da una rete particolarmente fitta di
oleodotti e di gasdotti. L'aumento del prezzo del petrolio d'importazione
comportò un aumento della produzione di carbone, estratto dalle Montagne
Rocciose e dal settore occidentale degli Appalachi, con cui il Paese si pone al
secondo posto nel panorama mondiale. La produzione complessiva di energia
elettrica è pari a un quarto dell'elettricità mondiale. Quanto
alla produzione di energia nucleare, gli
S. occupano, invece, il terzo
posto, grazie all'ingente importazione di materiali radioattivi. Attivi nella
sperimentazione e nella produzione di energie alternative, gli
S.
dispongono di numerosi impianti eolici, geotermici e idrici: a questo
proposito i lavori per lo sfruttamento dell'energia idroelettrica, che negli
anni Trenta si erano concentrati nel bacino del Tennessee, si estendono oggi nel
Nord-Ovest, verso il confine con il Canada. ║
Industria:
caratteristico dell'economia statunitense è il recente processo di
rilocalizzazione per cui le imprese spostano la produzione materiale verso Paesi
del Terzo Mondo, approfittando della manodopera a basso costo e determinando un
aumento della disoccupazione interna. Da principio furono interessate
soprattutto le industrie siderurgiche e in genere di raffinazione dei metalli,
senza che per questo la metallurgia all'interno del Paese regredisse (Pittsburgh
resta un centro di importanza mondiale), poi via via quelle del settore
automobilistico e tessile. Anche in campo automobilistico, comunque, il
complesso produttivo interno detiene il primato mondiale e Detroit ne è
il centro principale, con General Motors e Ford, mentre ad Akron si concentra la
produzione di pneumatici. Entrambe le città si trovano nel cosiddetto
manufacturing belt (fascia manifatturiera), fin dalle origini la zona
più industrializzata del Paese, estesa dal settore settentrionale della
costa atlantica all'alto corso del Mississippi e limitata a Nord dai Grandi
Laghi e a Sud dal bacino dell'Ohio. Sede delle maggiori industrie pesanti
(cantieristica, materiale ferroviario, macchine utensili e chimica di base,
settore in cui gli
S. detengono un primato notevole, producendo
più di un terzo degli acidi e delle basi principali), il
manufacturing
belt, nella prima metà del XX sec., si aprì anche
all'industria leggera (farmaceutica, fotografica, dell'abbigliamento, degli
elettrodomestici, ecc.). L'industria tessile, divisa originariamente nei due
settori principali della lana al Nord e del cotone (il
cotton belt) al
Sud, in concomitanza con la sostituzione delle fibre naturali con quelle
sintetiche tratte dal metano e dall'etilene, si spostò progressivamente
verso il golfo del Messico, dove la produzione di idrocarburi necessaria alla
produzione delle nuove fibre è più elevata. Del resto anche la
dislocazione delle industrie di altri settori è strettamente connessa
alla disponibilità di energia e di risorse minerarie: quelle chimiche e
metallurgiche, dipendenti da energia idroelettrica e termica, dalla regione
appalachiana si spostarono alla regione bagnata dagli affluenti di destra del
Mississippi e infine sul golfo del Messico. Qui, dall'inizio del XX secolo, si
concentrò l'industria petrolchimica, mentre i cantieri navali, prima
collocati principalmente nel Nord della costa atlantica, e poi intorno al golfo,
si vanno progressivamente sviluppando lungo la costa pacifica, grazie alle
ingenti risorse termoelettriche della California e idroelettriche del Nord;
anche l'industria aeronautica, che ricevette particolare impulso in concomitanza
del secondo conflitto mondiale e poi con la guerra di Corea, ha i suoi centri
maggiori sulla costa occidentale. La costa del Pacifico è dunque una zona
di sviluppo più recente, fatto questo che ha favorito le attività
di ricerca e di studio: la Silicon Valley, in California, specializzata nella
progettazione e produzione di microcircuiti al silicio, da cui il nome, vanta la
maggiore (e la prima, in ordine cronologico) concentrazione mondiale di
laboratori e industrie elettroniche, e pone gli
S. in posizione di
avanguardia nell'ambito della tecnologia avanzata, anche perché i tempi
di realizzazione dei risultati conseguiti dalla ricerca scientifica sono sempre
più brevi. L'esempio della Silicon Valley è stato poi ripreso e
altri “parchi tecnologici” si svilupparono anche altrove: il
Technology Triangle, nei pressi di Raleigh (Carolina del Nord) o il Technology
Square, alla periferia di Boston. Il settore informatico gode di immensi
finanziamenti statali e degli investimenti di molte imprese, in ciò
sostenute dalla particolare legislazione fiscale. Della ricerca ha beneficiato,
in particolare, l'apparato militare, ma negli ultimi tempi sono prevalsi gli
investimenti nei settori relativi al pubblico. Nonostante il peso acquisito da
alcune imprese giapponesi, gli
S. detengono il predominio nella
produzione di
software, con case produttrici del calibro di Microsoft,
IBM, Apple; il campo dell'elettromeccanica è dominato da General Electric;
la Westinghouse primeggia in quello nucleare, mentre le telecomunicazioni sono
interamente controllate da ITT, Bell e ATT. Oltre al settore tecnologico,
l'industria è attiva in quello alimentare e si impone nel panorama
mondiale con colossi quali Coca Cola, Pepsi Cola, Mars. Infine, un settore
particolarmente attivo è quello connesso alla produzione agricola, che
richiede fertilizzanti e macchinari per le diverse fasi, specie quella di
lavorazione e commercio dei prodotti. Sebbene l'industria impieghi quasi un
quinto della popolazione attiva, forti sono le sacche di disoccupazione e gli
squilibri regionali, ad esempio nelle Grandi Pianure. Il Governo federale,
ancora lontano dall'elaborare strategie d'intervento per risolvere queste
discrepanze, riservò, invece, particolare attenzione alla fine del XIX
sec. nei confronti dei monopoli, con la creazione di sistemi legali che ne
impedissero la formazione. Di fatto, si costituirono oligopoli in alcuni
settori, che impedirono, con elevate soglie economiche di entrata, l'affermarsi
di nuovi gruppi. ║
Servizi e telecomunicazioni: con i suoi 280.000
km complessivi, determinanti, in passato, nel popolamento dell'Ovest, la rete
ferroviaria è la più sviluppata del mondo ed è interamente
affidata all'organizzazione privata. Estesissima è pure la rete stradale,
con 6.250.000 km: caratteristiche le grandi strade extraurbane con tre o quattro
corsie per ogni senso di marcia, e le arterie di scorrimento rapido che si
spingono fino all'interno delle grandi città, con l'eccezione di New
York, che è attraversata da 370 km di ferrovia metropolitana, sotterranea
e sopraelevata. Dagli ultimi decenni del XX sec. si è intensificato il
trasporto interno di passeggeri per via aerea, grazie a una sensibile
diminuzione di prezzi. Gli aeroporti sono più di 7.000; tra gli scali
maggiori: New York, Chicago, Los Angeles, Long Beach, Atlanta, Dallas, San
Francisco. New York vanta anche il porto principale del Paese, seguito da quello
di New Orleans e di Corpus Christi. Nella via fluviale interna San
Lorenzo-Grandi Laghi si distingue Duluth, nel Minnesota, mentre Houston domina la linea
Intra-Coastal, parallela al golfo del Messico. Nel campo dell'alimentazione,
sono particolarmente sviluppate le catene di ristorazione, soprattutto di
fast-food, mentre supermercati e ipermercati periferici vanno sostituendo i
negozi cittadini. Infine, nel commercio internazionale, il Paese occupa un posto
di rilievo per l'import-export, in concorrenza con il Giappone.
STORIA
L'epoca coloniale: sorto nei primi anni
del XVII sec. con la fondazione della Virginia (1607), l'Impero coloniale
inglese in Nord America si era col tempo esteso arrivando nel 1763 a
comprendere, oltre al Canada e a un buon numero di isole caraibiche, i territori
che andavano dal New Hampshire alla Georgia. Da un punto di vista
economico-sociale, tra le varie colonie esistevano evidenti
disomogeneità: così, mentre nel Nord, prosperavano il commercio
atlantico e la pesca, al Centro era l'agricoltura cerealicola l'attività
economica principale; nel Sud, infine, si erano sviluppate le grandi piantagioni
in cui lavorava in regime di schiavitù un elevato numero di neri. Le
colonie, da un punto di vista meramente formale, erano concessioni territoriali
attribuite dal re d'Inghilterra ai privati affinché questi potessero
sfruttarle economicamente ed erano, pertanto, a tutti gli effetti soggette alla
sovranità della Corona; nei fatti, tuttavia, la madrepatria concedeva
loro una larga autonomia politica, amministrativa e fiscale, bastando la
regolamentazione degli scambi commerciali a garantire il perseguimento dei
propri interessi. La politica fiscale inglese venne a mutare nel 1765, quando
con lo Stamp Act fu istituita una tassa di bollo su giornali e documenti; le
colonie, temendo per la propria autonomia, si opposero, ottenendo, infine,
l'abolizione dell'imposta, ma suscitando preoccupazione a Londra. La situazione
lentamente si deteriorò, portando nel 1775 ai primi scontri armati che,
dopo l'approvazione della Dichiarazione d'indipendenza da parte del Congresso (4
luglio 1776), si trasformarono in guerra aperta. Il dominio dei mari e la
disponibilità di un esercito organizzato permisero all'Inghilterra di
avere, in un primo tempo, la meglio; ben presto, però, le
difficoltà logistiche di operazioni belliche condotte lontano dalla
madrepatria e l'isolamento diplomatico, unite alla riorganizzazione
dell'esercito coloniale operata da George Washington, spostarono l'ago della
bilancia verso gli Americani. Sconfitti una prima volta nel 1777 a Saratoga, gli
Inglesi andarono incontro a una decisiva disfatta anni dopo a Yorktown (1781),
accettando, nel 1783, l'indipendenza delle colonie. ║
Dall'indipendenza
alla guerra civile: il problema circa l'opportunità di organizzare
uno Stato centrale che coordinasse l'attività delle singole colonie
(ciascuna costituita in Stato autonomo) fu risolto tra il 1787 e il 1788 con la
ratifica della Costituzione e l'elezione di G. Washington a presidente degli
S.: entravano a far parte degli
S. 13 Stati (New Hampshire,
Massachusetts, Connecticut, Rhode Island, New York, New Jersey, Pennsylvania,
Maryland, Virginia, Delaware, Carolina del Nord, Carolina del Sud, Georgia),
ciascuno dei quali conservava ampi poteri; a un presidente eletto a suffragio
universale maschile era demandato il potere esecutivo, mentre quello legislativo
era nelle mani di un Parlamento bicamerale. La presidenza di Th. Jefferson
(1801-09) fu decisiva sotto molti aspetti: da un lato, essa indebolì le
già limitate funzioni del Governo centrale, dall'altro diede inizio a
un'attiva politica di espansione, acquistando nel 1803 da Napoleone la
Louisiana, un territorio situato oltre il Mississippi e all'epoca in gran parte
inesplorato che attrasse presto molti pionieri e sul quale tra il 1810 e il 1825
poterono sorgere nuovi Stati. L'espansione fu completata nel corso del secolo
con le annessioni del Texas (1836) e dei territori del Nord-Ovest (primi anni
Quaranta) e con la conquista del Sud-Ovest e della California a spese del
Messico (1846-48), cosicché, a metà del secolo, gli
S. si
estendevano dall'Atlantico al Pacifico senza soluzione di continuità
(sebbene le grandi pianure centrali e le Montagne Rocciose restassero in larga
misura non colonizzate). Altre presidenze importanti furono quella di J. Monroe
(1817-23), che proclamò il disinteresse di Washington per gli affari
europei (la cosiddetta
Dottrina Monroe) e quella di A. Jackson (1829-37),
che introdusse il sistema dello
spoils system per il reclutamento della
burocrazia e soppresse la Banca degli
S.; nessuno dei due né i
presidenti che seguirono riuscirono, però, a risolvere le contraddizioni
economico-sociali insite negli
S. Tali contraddizioni, dovute
essenzialmente all'esistenza di due differenti modelli di sviluppo, quello degli
Stati del Nord (ove si era completata l'industrializzazione) e quello degli
Stati del Sud (ove, invece, persisteva il sistema delle piantagioni e la
schiavitù dei neri), esplosero verso la metà del secolo,
allorché una gran parte dell'opinione pubblica del Nord e il neonato
Partito repubblicano (1854) cominciarono a premere per l'abolizione della
schiavitù dei neri. Quando, poi, il repubblicano A. Lincoln assunse la
presidenza (marzo 1861), prefigurando in qualche modo una graduale abolizione
della schiavitù, gli Stati del Sud diedero vita a una Confederazione
autonoma con J. Davis presidente. Ne seguì una guerra civile (la
cosiddetta guerra di Secessione) che si trascinò fino all'aprile 1865, ma
che già dal 1863, dopo la conquista di Gettysburg e di Vicksburg da parte
del generale U.S. Grant, si era nei fatti risolta a favore del Nord; tra il 1865
e il 1870 vi fu l'approvazione del XIII, XIV e XV emendamento, che abolivano la
schiavitù e attribuivano diritti civili e politici ai neri. ║
Dalla ricostruzione alla prima guerra mondiale: la ricostruzione
postbellica del Sud, alla quale non poté partecipare Lincoln, assassinato
da un sudista dopo la cessazione delle ostilità, dovette fare i conti con
la resistenza sudista (che si concretizzò nella creazione di
organizzazioni estremiste, come, ad esempio, il Ku Klux Klan), che mirava a
riconquistare ai bianchi il controllo degli affari interni del Sud. Nell'ultimo
trentennio del XIX secolo, la società americana andò incontro a una
progressiva integrazione e nazionalizzazione, mentre l'economia subì una
crescente verticalizzazione, della quale fecero le spese soprattutto gli
agricoltori, i nativi americani (privati dal 1887 dei diritti politici e chiusi
dal 1890 nelle riserve) e il proletariato urbano. Quest'ultimo, composto per lo
più da immigrati, a partire dagli anni Ottanta iniziò a
organizzarsi in sindacati (tra i quali spiccava l'American Federation of Labor,
fondata nel 1886), evitando, però, al contempo qualsiasi richiamo
classista; fu così che il Socialist Party of America, sorto nel 1901 per
iniziativa di E.V. Debs, non riuscì mai a porsi alla testa di lotte
operaie per molti versi anche più violente e sanguinose di quelle
europee. Le elezioni presidenziali del 1896, nelle quali venne eletto il
repubblicano W. Mc Kinley, sembrarono sancire la vittoria del grande capitale,
che in quegli anni, in effetti, ebbe la possibilità di ristrutturare
l'economia statunitense in senso oligopolistico. Tuttavia, il ceto medio seppe
riorganizzarsi e reagire efficacemente a questa linea di tendenza, ottenendo il
varo di norme antitrust, l'introduzione di una legislazione sociale a protezione
del lavoratore e l'istituzione, con l'approvazione nel 1912 del XVI emendamento,
dell'elezione popolare diretta dei senatori. Al successo di queste istanze
(risultati più evidenti di quel movimento politico e culturale che va
sotto il nome di Progressismo) non furono certo estranee le presidenze di Th.
Roosevelt prima e di T.W. Wilson poi, ai quali risale anche un notevole
attivismo in politica estera. Roosevelt, divenuto presidente con la morte di Mc
Kinley (1901) e confermato nella carica dalle elezioni del 1904, continuò
la politica estera aggressiva inaugurata dal suo predecessore, che aveva portato
all'attrazione di Cuba nell'orbita degli
S. (guerra ispano-americana,
1898), all'occupazione di Puerto Rico e delle Filippine e all'annessione delle
Hawaii (1900); di assoluto rilievo strategico fu la spregiudicata operazione
diplomatico-militare da lui condotta nella provincia colombiana di Panama, a
seguito della quale gli
S. ottennero in concessione per 99 anni una
striscia di terra su cui realizzare l'omonimo canale. Wilson giocò,
invece, un ruolo decisivo per la vittoria delle forze dell'Intesa nella prima
guerra mondiale, decretando il 6 aprile 1917 l'intervento degli
S. nel
conflitto, a seguito dell'intensificarsi della guerra sottomarina tedesca. Minor
fortuna ebbe, al contrario, il progetto di Wilson di ricostruire la carta
geografica europea sulla base dei principi di nazionalità e di
autodeterminazione dei popoli, dal momento che la Conferenza di pace di
Versailles del 1919 nei fatti non recepì i suoi
Quattordici punti.
La definitiva sconfitta politica di Wilson si consumò alle presidenziali
del 1920, con la vittoria, nelle prime elezioni in cui poterono votare anche le
donne, del repubblicano W.G. Harding. ║
Tra le due guerre mondiali:
la società statunitense visse in quegli anni un'involuzione conservatrice
che dapprima si concretizzò nella persecuzione dell'Industrial Workers of
the World (un'organizzazione sindacale di tendenze anarchiche) e nella condanna
a morte degli anarchici N. Sacco e B. Vanzetti (1921) e che, poi,
caratterizzò un po' tutti gli anni Venti (si pensi al proibizionismo, al
blocco dell'immigrazione, alla rinascita del Ku Klux Klan); ma questo fu anche
un periodo di notevole sviluppo economico, evidente soprattutto nella
macroscopica crescita dei consumi. Questo sviluppo, però, si
arrestò bruscamente e inaspettatamente nell'ottobre del 1929 con il
crollo della borsa di Wall Street; la crisi che ne seguì e che mise in
ginocchio gli
S. per alcuni anni trovò soluzione solo con
l'avvento alla presidenza del democratico F.D. Roosevelt (1933); egli, infatti,
facendo proprie le teorie economiche di J.M. Keynes, ruppe con l'approccio
monetarista del suo predecessore, il repubblicano H.C. Hoover, e inaugurò
una politica di deciso sostegno statale all'economia (il cosiddetto
New
Deal), che permise agli
S. di superare la crisi. Roosevelt mantenne
una maggior continuità con Hoover in politica estera, perseguendo disegni
di espansione commerciale, seppur abbinandoli a scelte di non interferenza in
aree storicamente condizionate da Washington (America Latina in particolare). Il
suo internazionalismo fu, però, in gran parte mitigato dalle tendenze
isolazioniste montanti presso l'opinione pubblica e recepite dal Congresso, che,
infatti, tra il 1935 e il 1937, approvò tre
Neutrality Acts.
║
La seconda guerra mondiale e la guerra fredda: fu così
che, allo scoppio della seconda guerra mondiale, gli
S. si assestarono su
una linea di neutralità, che modificarono solo nel 1941, dapprima
semplicemente appoggiando economicamente i nemici della Germania, quindi, dopo
l'attacco giapponese a Pearl Harbor (7 dicembre 1941), intervenendo
massicciamente nel conflitto. Due furono i fronti che videro impegnati gli
S., uno in Europa e un altro nel Pacifico: in Europa, le truppe
statunitensi, dopo essere sbarcate in Africa Settentrionale (novembre 1942) e in
Italia (luglio 1943), sbarcarono anche in Normandia (V. NORMANDIA, sbarco in
Normandia) (6 giugno 1944) e da lì iniziarono, sotto il comando del
generale D.D. Eisenhower, l'attacco finale conclusosi nel maggio 1945 con la
resa tedesca; nel Pacifico, invece, la guerra si caratterizzò come una
lenta avanzata verso il Giappone che poté, però, aver termine solo
con il lancio della bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki (agosto 1945). Accordi
intervenuti in precedenza a Jalta (febbraio 1945) avevano intanto sancito nei
fatti una spartizione del mondo in due grandi zone di influenza, una sovietica e
l'altra statunitense, e avevano posto le premesse per la cosiddetta
“guerra fredda”, che ebbe il suo momento più critico con la
crisi di Berlino del 1949. Già dall'aprile 1945 era intanto divenuto
presidente H.S. Truman, che si adoperò per la stabilizzazione dell'Europa
e l'allineamento dei Governi sud-americani sulle posizioni di Washington
(mentre, per converso, scarso successo ebbero le sue iniziative in Cina nel 1949
e in Corea nel 1950). Sul fronte interno, invece, si assistette a un
rallentamento dello slancio riformatore e a una vera e propria caccia ai
comunisti ispirata dal senatore J.R. Mc Carthy; tutto questo, però, non
frenò la crescita economica e l'affermazione della cosiddetta
“società dei consumi”. ║
Dagli anni Cinquanta agli
anni Settanta: a Truman successe nel 1953 Eisenhower, il quale, se da un
lato esasperò l'idea della “guerra fredda” come scontro di
civiltà, dall'altro perseguì una politica di coesistenza pacifica
con l'Unione Sovietica. Nel frattempo, iniziavano le grandi battaglie per i
diritti civili, con la dichiarazione dell'incostituzionalità della
segregazione razziale nelle scuole (1954) e con l'azione vigorosa e pacifica di
un giovane pastore dell'Alabama, M.L. King, in favore della minoranza nera. Nel
1960, dopo che l'approvazione del XXII emendamento aveva impedito a Eisenhower
di candidarsi per la terza volta, l'elezione alla presidenza del democratico
J.F. Kennedy sembrò aprire una nuova stagione per gli
S.: Kennedy,
infatti, rafforzò la legislazione sociale, si impegnò (seppur non
sempre con successo) nel campo dei diritti civili, optò per una politica
estera che riconosceva la nascita nel Terzo Mondo di soggetti politici autonomi
e che si traduceva in aiuti concreti in loro favore. I momenti più
difficili della sua presidenza furono legati a Cuba, ove F. Castro, giunto nel
1959 al potere per mezzo di una rivoluzione popolare, di fronte
all'ostilità statunitense si era avvicinato all'Unione Sovietica; se il
tentativo di rovesciare con la forza il Governo castrista non ebbe successo
(aprile 1961), soluzione positiva ebbe, invece, la “crisi dei
missili” (ottobre 1962), con l'Unione Sovietica che acconsentì a
smantellare i missili a medio raggio installati a Cuba. A Kennedy, assassinato
in circostanze per molti versi oscure a Dallas il 23 novembre 1963, successe il
vicepresidente L.B. Johnson (poi rieletto nel 1964), che tra il 1964 e il 1966,
in un periodo di eccezionale rigoglio dell'economia, riuscì a far
approvare alcune importanti leggi sui diritti civili, nonché una
più avanzata legislazione per combattere la povertà; ciò,
tuttavia, non attenuò le crescenti tensioni sociali, che si
concretizzarono, all'interno della comunità nera, nell'affermazione di
gruppi e leader non pacifisti (Malcom X, S. Carmichael) e che sfociarono nel
1968 nell'assassinio di King. Sempre in quell'anno fu ucciso R.F. Kennedy, che
si stava avviando a ottenere la
nomination democratica per le elezioni
presidenziali, mentre, sul fronte esterno, la guerra del Vietnam (1965-75),
nonostante la gran quantità di uomini e di mezzi inviati da Johnson a
sostegno dei Sudvietnamiti, si risolse per gli
S. in uno scacco militare
e politico. Il repubblicano R.M. Nixon, presidente degli
S. a partire dal
1969, comprese, allora, la necessità di un approccio più
pragmatico e meno ideologico in politica estera, operando, pertanto, in
direzione di una normalizzazione delle relazioni con la Cina (1972) e aprendo
una nuova stagione nei rapporti con l'Unione Sovietica (del 1972 è il
primo trattato sulla limitazione delle armi nucleari). Una cauta politica
interna gli garantì la rielezione nel 1972, ma il suo secondo mandato,
nel corso del quale fu accelerato il ritiro delle truppe statunitensi dal
Vietnam, ebbe vita breve; nel 1973, infatti, venne alla luce il cosiddetto
Watergate, un'operazione di spionaggio contro il Partito democratico di
Washington cui Nixon non sembrò del tutto estraneo. Così,
nell'agosto 1974, mentre il Congresso avviava la procedura di
impeachment, Nixon preferì dimettersi lasciando la presidenza a
G.R. Ford. Gli anni che seguirono, complice l'embargo petrolifero decretato
dall'OPEC nell'autunno del 1973, furono anni difficili per gli
S., la cui
economia fu preda di un processo di stagflazione contro il quale né Ford
né il suo successore, il democratico J. Carter, seppero elaborare misure
efficaci. La presidenza di quest'ultimo fu, poi, segnata da alcuni incidenti in
politica estera (primo fra tutti, nel 1980, l'occupazione dell'ambasciata
statunitense a Teheran da parte dei rivoluzionari islamici) che finirono per
offuscarne i successi, come gli accordi di pace tra Egitto e Israele firmati nel
1978 a Camp David, e che favorirono nel 1980 la riconquista della Casa Bianca da
parte dei repubblicani con R.W. Reagan (poi rieletto nel 1984). ║
Dagli
anni Ottanta agli anni Novanta: fautore di una politica economica di stampo
liberista, in nome della quale ridusse la presenza dello Stato in economia e il
peso delle imposte, Reagan condusse una spregiudicata politica estera, non
esitando a intervenire nella crisi centro-americana (1980) e a invadere Grenada
(1983); tuttavia, dopo l'avvento al potere in Unione Sovietica di M. Gorbaciov
(1985), egli si adoperò con successo per porre definitivamente termine
alla “guerra fredda”, arrivando alla stipula di un trattato per lo
smantellamento dei missili a medio raggio (1987). Il suo successore, G.H.W. Bush
ereditò l'attivismo reaganiano in politica estera, intervenendo
militarmente a Panamá (1989) e promuovendo la guerra contro l'Iraq (1991)
dopo l'invasione del Kuwait da parte dell'iracheno S. Hussein, ma non seppe
risollevare un'economia in difficoltà né gestire le crescenti
tensioni sociali; fu così che nel 1992 il democratico W.J. Clinton vinse le
elezioni presidenziali, avviando una nuova stagione politica, finalizzata a far
riacquistare competitività agli
S. nel contesto di un'economia
globalizzata. Nonostante la vittoria della Nuova Destra di N. Gringrich alle
elezioni legislative di medio termine (1994) e l'affossamento di alcuni punti
qualificanti del suo programma elettorale (quale, ad esempio, il progetto di
fornire a tutti gli Statunitensi una copertura sanitaria), nel 1996 Clinton,
forte dell'avvenuta ripresa economica, fu riconfermato alla Casa Bianca,
sfuggendo anche nel 1998 al rischio di un
impeachment per uno scandalo a
sfondo sessuale. In politica estera, Clinton diede avvio al processo di pace tra
Israeliani e Palestinesi (Washington, 13 settembre 1993, firma di Arafat e Rabin
sull'accordo di pace), si impegnò per la fine della guerra nella ex
Jugoslavia (accordi di Dayton, 1995) e promosse l'attacco NATO contro la Serbia
colpevole di violazioni dei diritti umani nel Kosovo (1999) (V. anche
REPUBBLICANO, partito repubblicano statunitense, e DEMOCRATICO, PARTITO). Gli
ultimi mesi della sua presidenza dovettero registrare, però, un pesante
insuccesso: si concluse infatti senza alcun risultato il vertice di Camp David,
fra il primo ministro israeliano E. Barak e il leader palestinese Y. Arafat. Nel
novembre 2000 si tennero le elezioni presidenziali che, dopo una controversa e
contestata conta dei voti nello Stato della Florida, protrattasi per circa un
mese, si conclusero con l'elezione del candidato repubblicano G.W. Bush,
figlio dell'ex presidente Bush, a danno del democratico A. Gore.
Fortemente conservatore, Bush interruppe la politica sociale di Clinton dando la
preferenza all'iniziativa e all'assistenza privata in campo
sanitario e scolastico. Decise inoltre di non ratificare gli accordi di Kyoto
sull'ambiente, aprendo di fatto la strada a nuovi investimenti in ambito
energetico tradizionale. Diede grande impulso alla ricerca scientifica genetica
e sviluppò un piano di investimento in ambito difensivo, con la
destinazione di ingenti somme di denaro pubblico nell'incremento dello
scudo spaziale. Nel luglio 2001 si oppose alla sottoscrizione di un accordo
internazionale sulla messa al bando di armi chimiche. L'11 settembre 2001
quattro aerei di linea vennero dirottati da un gruppo di terroristi suicidi: due
velivoli si schiantarono sulle Torri Gemelle del World Trade Center di New York,
uno precipitò su un'ala del Pentagono e un quarto cadde al suolo
nei pressi di Pittsburgh. La responsabilità dell'attacco multiplo, nel quale
perirono diverse migliaia di persone, venne imputata al miliardario saudita, rifugiato
in Afghanistan, Osama Bin Laden (V. BIN LADEN, OSAMA), a capo di un'organizzazione
internazionale denominata Al Qaeda (V. QAEDA, AL).
11 settembre 2001: le terribili sequenze dell’attacco terroristico contro il World Trade Center
Il Governo degli
S., con il supporto della NATO e di una coalizione di Stati
alleati contro il terrorismo, fece pressione sul Governo afghano dei Talebani (V.)
affinché consegnasse loro Bin Laden. A un netto rifiuto da parte afghana, il
7 ottobre gli
S., appoggiati dall'Ue e dai Paesi arabi moderati, diedero avvio
ai bombardamenti sull'Afghanistan (con l'operazione militare denominata "Libertà
duratura"), dapprima circoscritti a obiettivi strategici, poi coinvolgenti anche parte
della popolazione civile. Da novembre i raid aerei furono affiancati dall'intervento
di terra dei marines, sostenuti nelle loro azioni dall'Alleanza del Nord, l'unica forza
rimasta in Afghanistan a combattere contro i Talebani. Parallelamente ai bombardamenti, gli
S. e gli Stati occidentali intrapresero una guerra finanziaria al terrorismo: cercarono
di scoprire e bloccare i conti sui quali si muovono i grandi capitali di Bin Laden e dei
finanziatori del terrorismo internazionale. Contemporaneamente Bush dovette arginare il
cosiddetto "allarme carbonchio": decine di buste contenenti polvere infetta vennero recapitate
a personalità del mondo giornalistico e politico, provocando la morte di alcune di
esse. Non fu chiara la matrice della nuova forma di terrorismo biologico. Il 26 ottobre Bush
firmò una controversa legge antiterrorismo che prevedeva, tra l'altro, il prolungamento
del fermo di polizia da 48 ore a sette giorni per gli stranieri sospettati di avere legami con
organizzazioni terroristiche, l'ampliamento delle misure di sorveglianza elettronica per
facilitare le intercettazioni telefoniche, il controllo della posta elettronica e dei computer
sospetti; pochi giorni dopo firmò anche un decreto che autorizzava i tribunali militari
ad arrestare e processare cittadini stranieri sospettati di terrorismo. Sul fronte di guerra,
abbattuto il regime dei Talebani (novembre 2001), Bush affermò che il conflitto sarebbe
proseguito fino a quando non fosse stato sconfitto il terrorismo internazionale; a tal
proposito stilò una lista di Paesi considerati pericolosi per gli
S., nella quale
comparivano Iraq, Iran e Corea del Nord. Il 5 dicembre, alla Conferenza di Bonn (cui
presenziarono anche gli
S.) venne raggiunto un accordo sull'amministrazione provvisoria
che avrebbe guidato l'Afghanistan fino alla ricostituzione di istituzioni governative
permanenti. Pochi giorni dopo anche l'ultima roccaforte talebana, Kandahar, fu conquistata
dall'Alleanza del Nord. I prigionieri sospettati dagli
S. di far parte di Al Qaeda
vennero portati nella base militare di Guantanamo, sull'isola di Cuba, per essere interrogati.
Per far fronte al grave conflitto arabo-israeliano, tra il 2001 e il 2002 gli
S.
effettuarono a più riprese tentativi di mediazione: inviarono il mediatore Anthony
Zinni (novembre 2001, gennaio 2002, marzo 2002) e il segretario di Stato Colin Powell
(aprile 2002), che non ottennero tuttavia risultati apprezzabili. Condizione primaria
che Bush pose per far proseguire il dialogo tra Israele e Palestina fu il cambiamento della
classe dirigente palestinese e l'isolamento del presidente Arafat, accusato di non agire
con sufficiente fermezza contro gli attentati dei kamikaze. Con la conseguente nomina di Abu
Mazen a primo ministro dell'ANP (V. PALESTINA), nel maggio 2003 gli
S. si fecero
promotori, insieme a Unione europea, Russia e ONU, del piano di pace denominato "Road
Map", che prevedeva la creazione di uno Stato palestinese entro il 2005. Intanto,
nel maggio 2002,
S. e Russia raggiunsero un importante accordo sulla riduzione
degli armamenti nucleari. L'intesa prevedeva una riduzione delle ogive nucleari a un
numero tra le 1.700 e le 2.200, circa un terzo degli allora arsenali. Nel mese di novembre,
a conferma del consenso della popolazione statunitense nei confronti di Bush, le elezioni di
medio termine registrarono l'affermazione dei repubblicani, che conservarono la maggioranza
dei seggi alla Camera, ottenendo anche quella al Senato, fino a quel momento appannaggio dei
democratici. Contemporaneamente il Governo Bush, proseguendo la sua politica di lotta contro
il terrorismo internazionale, dichiarò che avrebbe attaccato l'Iraq, colpevole di non aver
permesso agli ispettori dell'ONU di ispezionare gli armamenti per verificare la presunta
esistenza di armi di distruzione di massa. In novembre l'ONU approvò una risoluzione che
autorizzava l'uso della forza in caso di non collaborazione da parte irachena. Dopo
molti tentennamenti, Baghdad accettò di ospitare gli osservatori internazionali che
proseguirono le ispezioni fino al marzo 2003, quando
S. e Gran Bretagna
decisero, senza l'avallo dell'ONU, di procedere militarmente contro l'Iraq, accusato
di mancata collaborazione. Appoggiati dalla cosiddetta "coalizione anti-terrorismo"
comprendente 30 Paesi, tra cui Italia e Spagna, gli Anglo-Americani imposero un ultimatum
a Saddam Hussein, nel quale gli si intimava di lasciare il potere e il Paese. Di fronte al
suo rifiuto, il 20 marzo ebbe ufficialmente inizio l'operazione
Shock and awe
(letteralmente "scuoti e sgomenta", riportato comunemente in italiano con "colpisci e
terrorizza") con il bombardamento di Baghdad. Nelle settimane successive, parallelamente ai
massicci bombardamenti sui principali centri abitati iracheni, le truppe statunitensi agli
ordini del generale Tommy Franks avanzarono su terra, procedendo sia da Sud sia da Nord in
direzione di Baghdad, conquistata il 9 aprile. L'entrata dei carri armati
statunitensi nel centro della città e l'abbattimento delle statue di Saddam Hussein
segnarono la fine del regime del dittatore iracheno. Dopo l'iniziale euforia della
popolazione, nei giorni successivi in varie località dell'Iraq si moltiplicarono
le manifestazioni antistatunitensi, che sfociarono presto in caos e anarchia. Per
porre rimedio alla situazione, il Governo statunitense instaurò un Protettorato guidato dal
generale Jay Garner, chiamato a garantire la sicurezza e a porre le basi per l'insediamento
di un Governo provvisorio. Successivamente Garner venne affiancato dall'esperto di
terrorismo ed ex funzionario del Dipartimento di Stato statunitense Paul Bremer. Il
1° maggio 2003 venne annunciata ufficialmente la fine delle ostilità in Iraq; gli Americani
rimasero comunque nel Paese quali garanti del percorso di democratizzazione, provocando una
degenerazione ulteriore della situazione. Gruppi armati iracheni attuarono una serie
di attentati contro obiettivi militari statunitensi, che causarono un ingente numero di
vittime, superiore a quello registrato durante la guerra. L'acuirsi delle tensioni in
Iraq oscurò la popolarità di Bush che solo con la cattura di Saddam Hussein (13 dicembre)poté
recuperare parte del sostegno popolare. Nei mesi successivi la sua immagine non venne scalfita né dallo
scandalo scoppiato per le torture inferte ai prigionieri del carcere iracheno di Abu Ghraib
(maggio 2004) da parte di militari anglo-americani, né dai rapimenti e dalle esecuzioni
di cittadini statunitensi in Iraq, né dalla smentita della presenza di armi di
distruzione di massa in Iraq. Le presidenziali del 2 novembre 2004, che registrarono
un'affluenza da record, riconfermarono alla Casa Bianca per altri quattro anni il presidente
uscente: rieletto con oltre 59 milioni di voti, Bush diventò il presidente più votato
nella storia degli
S. La vittoria di Bush sul rivale democratico John Kerry fu
accompagnata dal successo, al Congresso, del Partito repubblicano, che si fece portavoce
dei valori conservatori più radicati nel Paese: la famiglia, la fede e la patria.
L'affermazione di Bush fu determinata, più che dalle tematiche legate al dopoguerra iracheno,
dalle pulsioni morali: il rifiuto dell'aborto e della pillola anticoncezionale del giorno dopo
e l'avversione nei confronti della ricerca sulle cellule staminali e dei matrimoni tra
omosessuali. All'indomani della rielezione del presidente uscente, Colin Powell annunciò
le proprie dimissioni dall'incarico di segretario di Stato; al suo posto Bush designò
Condoleezza Rice. Nell'estate del 2005 una serie di uragani colpì il Paese,
il più impetuoso dei quali, Katrina, nel mese di agosto si abbatté sugli Stati affacciati sul
Golfo del Messico, rovinando sulla città di New Orleans che venne fortemente danneggiata
dalla forza dei venti e dai successivi allagamenti. A differenza di quanto accaduto
dopo l'11 settembre 2001, l'uragano Katrina non rinnovò il sentimento di unità
nazionale e il consenso bipartisan nei confronti dell'amministrazione Bush. Intanto
a fine ottobre il numero dei morti statunitensi in Iraq aveva superato i 2.000, provocando
un nuovo attacco dei media contro la politica estera della Casa Bianca. In novembre
il segretario di Stato Condoleezza Rice raggiunse un accordo con i Governi rumeno e
bulgaro, che consentirono l'utilizzo dei loro territori per l'installazione di basi
militari statunitensi, all'interno della strategia di ridislocamento delle truppe
americane in Europa. Nel gennaio 2006 Bush indicò quali priorità della
sua politica la guerra al terrorismo (a Iraq, Iran e Hamas), la competitività
dell'economia, la riforma della sanità e la ricerca di nuove tecnologie energetiche
alternative per porre fine alla dipendenza statunitense dal petrolio mediorientale.
La situazione in Iraq rimase al centro delle preoccupazioni di Washington.
Sebbene lo scoraggiamento
serpeggiasse anche all'interno del Partito repubblicano, in giugno il Senato
respinse le due proposte democratiche di ritiro delle truppe americane dall'Iraq.
Le elezioni di mid-term (banco di prova per il presidente statunitense)
tenutesi il 7 novembre segnarono una netta sconfitta di Bush e della sua
amministrazione repubblicana. Fu determinante per il risultato la guerra
in Iraq, risoltasi in un fallimento documentato dalla cronaca quotidiana
e dall'entità delle perdite di soldati (104 i morti nel solo mese di
ottobre), elemento a cui gli Americani sono tradizionalmente molto sensibili.
Incisero sulla debâcle repubblicana anche le ansie della popolazione per
nuovi attacchi terroristici e per la minaccia nucleare iraniana e
nord-coreana, un forte malcontento sotto il profilo economico, i numerosi
scandali di corruzione che avevano coinvolto membri repubblicani del Congresso,
nonché i voti dei democratici di destra, i cosiddetti
blue dogs, che in molti
distretti sconfissero i repubblicani sul loro stesso terreno, appellandosi a valori
quali la famiglia, una politica anti-tasse e il patriottismo. Con le elezioni di medio
termine il Partito democratico conquistò la maggioranza sia al Senato (anche se
di un solo seggio) sia alla Camera (di 30 seggi). In concomitanza con le elezioni
della Camera e di un terzo del Senato, il 7 novembre gli elettori statunitensi furono
chiamati a votare anche per il rinnovo dei governatori in 35 Stati su 50. I
democratici "strapparono" ai repubblicani sei governatori, passando alla guida di
28 Stati dell'Unione su 50, rispetto ai 22 del 1994. Come conseguenza del deludente
risultato elettorale il segretario alla Difesa Donald Rumsfeld, figura
simbolo dell'amministrazione Bush, fu costretto a rassegnare le dimissioni;
al suo posto venne chiamato Robert Gates, già direttore della CIA (1991-93)
ai tempi di Bush padre e membro della commissione bipartisan che stava
esaminando la possibilità di un cambio di strategia per l'Iraq. In politica
estera gli
S., che nel luglio 2006 avevano appoggiato l'invasione della
Somalia da parte delle truppe etiopi, nel gennaio 2007 intervennero militarmente
nello Stato del Corno d'Africa, ufficialmente per debellare l'Unione delle Corti
islamiche (UCI) sostenuta da Al Qaeda, ma effettivamente per tutelare i loro
interessi legati al petrolio. Il progetto di ampliamento della base militare USA
"Ederle" a Vicenza, presentato dagli
S. al Governo italiano nel 2005 e
successivamente approvato dall'Esecutivo, scatenò forti tensioni in Italia
nel febbraio 2007. Nel luglio dello stesso anno, mentre in Iraq la missione statunitense
proseguiva, il quotidiano "New York Times" in un editoriale attaccò duramente la guerra
nel Paese asiatico, che secondo la testata era stata voluta da Bush senza ragioni
sufficienti, in contrasto con un'opposizione globale e sprecando risorse che il Pentagono
avrebbe invece dovuto destinare all'Afghanistan. Il 3 settembre lo stesso Bush,
accompagnato dal segretario di Stato Condoleezza Rice e dal consigliere per la Sicurezza nazionale
Steven Hadley, fece visita a sorpresa alle truppe in Iraq, annunciando di avere
intenzione di ridurre il contingente. Si trattava della terza visita del presidente
dall'inizio del conflitto. L'estate del 2007 fu contrassegnata dal passaggio di
due uragani tropicali, Dean e Felix che raggiunsero in un lasso di tempo
straordinariamente breve il pericoloso livello 5. Il 2008 fu caratterizzato
dalla lunga corsa alla Casa Bianca, infatti il presidente Bush, dopo due mandati
di quattro anni, non era più rieleggibile. Tra gennaio e giugno si svolsero in tutti
gli Stati dell'Unione le elezioni primarie o in alcuni Stati i caucus per la
selezione dei candidati alla presidenza all'interno dei partiti maggiori.
Tra i Repubblicani la corsa si trasformò in un testa a testa tra John McCain e
Mitt Romney, con l'affermazione del primo dei due, mentre il duello democratico
vide fronteggiarsi Hillary Rodham Clinton e Barack Obama: quest'ultimo
all'inizio di giugno venne dichiarato vincitore, ma la Clinton scelse
comunque di rimanere in corsa. Il 4 novembre si svolsero le elezioni
presidenziali e venne eletto Obama, 44° presidente della
storia della Federazione e primo afroamericano a ricoprire questo ruolo.
L'elezione di Barack Obama, 44° presidente statunitense
POPOLAZIONELa
popolazione degli
S. è tra le più urbanizzate del mondo:
per 4/5 vive, infatti, in città con più di 400.000 abitanti.
Ciò si spiega col fatto che il popolamento delle terre del Nord America
è stato contemporaneo alla rivoluzione industriale, la quale, se in
Europa determinò vaste migrazioni dalle campagne, negli
S., che
nel XVII sec. erano ancora largamente disabitati, favorì sin dall'inizio
lo sviluppo di agglomerati urbani. Fino ad allora, il territorio degli
S.
era popolato esclusivamente dai discendenti di quelle popolazioni che 40.000
anni prima erano giunte sul continente americano dall'Asia attraverso lo stretto
di Bering e che si caratterizzavano per scarsa densità degli insediamenti
e tecnologia decisamente arretrata. La migrazione europea, dovuta in buona parte
alle persecuzioni religiose in atto sul Vecchio Continente, scompaginò il
quadro, con gli Inglesi che occuparono tutta la costa atlantica, gli Olandesi
(in buona parte calvinisti) che fondarono Nuova Amsterdam (poi divenuta, dopo la
conquista inglese, New York), i quaccheri che si insediarono in Pennsylvania e i
cattolici nel Maryland; il risultato fu che nel 1790 il primo censimento
ufficiale accertò che negli
S. (su un territorio notevolmente
inferiore rispetto a quello attuale) vivevano circa 4 milioni di abitanti. La
conquista dell'indipendenza accentuò ancor di più le migrazioni
dall'Europa, in particolare di Inglesi, Irlandesi e Tedeschi; ciò
favorì un vistoso incremento demografico, cui concorse, peraltro,
l'annessione di parte del territorio messicano: fu così che il censimento
del 1860 registrò la presenza di più di 31 milioni di abitanti.
Alla fine della guerra di Secessione iniziò la colonizzazione delle terre
a Ovest del Mississippi, per realizzare la quale venne per un certo periodo
favorita l'immigrazione, cosicché finirono per giungere negli
S.
Italiani, Serbi, Croati, Spagnoli. Verso la fine del XIX sec., poi, a seguito
del popolamento della costa pacifica, si fecero consistenti gli arrivi di
Asiatici (Filippini e Cinesi, in particolare). I Governi che si alternarono alla
guida del Paese nella prima metà del XX sec. decisero, pertanto, di porre
un freno all'immigrazione, fissando limiti di flusso piuttosto rigidi e
allentandoli solo in favore degli Ebrei in fuga dalle persecuzioni naziste. Non
per questo il problema dell'immigrazione giunse a soluzione: anzi, nella seconda
metà del XX sec., esso si accentuò in ragione della massiccia
immigrazione clandestina ispanofona (contro la quale a poco servì
l'adozione di misure piuttosto severe) e dei fenomeni dei
boat-people
asiatici e dei
balseros cubani (questioni per le quali ragioni politiche
consigliarono agli
S. un approccio più morbido). In queste
dinamiche migratorie sta il paradosso dell'andamento demografico statunitense
della fine del XX sec.: la popolazione complessivamente cresce di un tasso annuo
del 10% che, però, si riduce al 5% quando si considerino i soli oriundi
europei, mentre raggiunge finanche il 16% quando si prendano in esame Asiatici e
Afro-Americani (i quali costituiscono, insieme agli Amerindi, le etnie meno
integrate nella società statunitense). Da un punto di vista numerico,
l'etnia dominante è quella bianca, che costituisce circa l'80% della
popolazione; rilevante è, poi, la minoranza nera (quasi il 12%),
insediata principalmente negli Stati di New York, California, Illinois, Texas,
Georgia e Louisiana. Il quadro è completato dagli Asiatici (4 milioni
circa) e dagli Amerindi (1.400.000), stanziati per la maggior parte in Oklahoma,
Arizona, California e New Messico. ║ Per quel che concerne la
distribuzione della popolazione sul territorio statunitense, un'utile chiave di
lettura può essere fornita dalla tradizionale suddivisione degli
S. in nove grandi regioni geografiche: tre sull'Atlantico (New England,
Middle Atlantic e South Atlantic), quattro centrali (East North Central, East
South Central, West North Central, West South Central), due nell'area che
gravita sul Pacifico (Mountain e Pacific).
LINGUARispetto al
British English parlato in Inghilterra, l'inglese degli
S.,
l'
American English, presenta molte differenze d'ordine
fonetico, lessicale, sintattico e di pronuncia; inoltre, all'interno del
vastissimo territorio, presenta cospicue varietà regionali, connesse al
multiforme sostrato linguistico amerindio e soprattutto a fattori storici e
sociali, tra cui la colonizzazione da parte di gente di origine britannica nei
secc. XVI-XVII e il cospicuo afflusso migratorio di cittadini europei (in
particolar modo italiani) nei secc. XIX-XX. Si deve al lessicografo N. Webster
(1758-1843) una riforma semplificata della grafia dell'inglese americano, atta a
conferire a questa lingua una dignità a sé rispetto a quella
parlata in Inghilterra e un'uniformità standard che si è poi
progressivamente stabilizzata in tutto il Paese, grazie a scuola, stampa e
mass-media. I principali elementi fonetici distintivi sono l'indebolimento della
t intervocalica, la diversa pronuncia di vocali e dittonghi e un generico
processo di nasalizzazione; le semplificazioni ortografiche più comuni,
la monottongazione (
color per
colour: colore) e le modificazioni
legate alla pronuncia (
nite per
night: notte); notevoli le
differenze lessicali (
apartment per
flat: appartamento;
elevator per
lift: ascensore). Nella seconda metà del XX
sec. si è accentuato il plurilinguismo, da sempre peculiarità
degli
S., fatto che ha portato, nel 1968, al Bilingual Educational Act,
provvedimento mirante a favorire i parlanti di etnie diverse (forte la
percentuale ispanica) per cui l'inglese non fosse lingua madre. Frequenti,
inoltre, le cosiddette “variazioni sociali” dell'inglese americano,
cioè i processi di fusione con la parlata di altre etnie, tra cui va
segnalato, negli Stati del Sud e nei grandi centri urbani, il
Black
English, nato dalla lingua degli schiavi africani che lavoravano nelle
piantagioni e ora diffusissimo tra la popolazione
afro-americana.
LETTERATURALa
letteratura nord-americana si formò dapprima come estensione di quella
inglese, dalla quale si distanziò e differenziò progressivamente,
raggiungendo un'immagine autonoma via via che le strutture sociali, politiche ed
economiche andavano consolidandosi. Il processo fu lento e graduale e,
irradiando dai territori della Nuova Inghilterra, presso la costa atlantica
settentrionale, la cultura di matrice anglosassone si diffuse,
personalizzandosi, verso l'interno del Paese. Una periodizzazione,
necessariamente approssimativa, individua una prima fase coloniale, cui seguono
la cosiddetta “epoca della ragione”, il periodo romantico, il
Rinascimento americano, diviso tra Trascendentalismo, Realismo e Naturalismo, e
una tendenza modernista, che lascerà poi il posto, nel secondo Novecento,
ad avanguardie postmoderne, contrassegnate da un diffuso multiculturalismo.
║
La fase coloniale: compresa tra la metà del XVII sec. e la
metà del XVIII sec., mostrò una dipendenza dal modello inglese
ancora molto forte. Nel 1607, gruppi di coloni approdarono alla baia di
Chesapeake dove, sotto la guida di J. Smith (1580-1631), fondarono Jamestown, in
omaggio al successore di Elisabetta, Giacomo I. Di questo insediamento Smith
tenne alcuni diari, tra cui
La vera relazione di avvenimenti accaduti in
Virginia (1608), ma la prima opera con valore letterario, oltreché
storico, risale all'epoca della fondazione di Plymouth, iniziata nel 1620 ad
opera di un gruppo di uomini di fede calvinista, fuggiti dalle Isole
Britanniche, dove erano oggetto di feroci persecuzioni, e salpati dall'omonima
Plymouth inglese a bordo del
Mayflower. Tra questi coloni, ribattezzati
poi Padri Pellegrini (
Pilgrim Fathers), si distinse W. Bradford
(1590-1657), governatore della nuova città e autore della relazione
Storia della colonia di Plymouth (postumo, 1856). Analoga l'opera di J.
Winthrop (1588-1649) per la colonia nella baia di Massachusetts, dove giunse nel
1630 dalla madrepatria in qualità di governatore. Questi primi scritti,
per lo più aride registrazioni di fatti, conservano comunque vigore
drammatico e sono venati da un certo fanatismo alimentato dal complesso di
persecuzione che i loro autori, di rigida osservanza calvinista, avevano
maturato in seguito alla repressione operata nei loro confronti in Inghilterra.
Il conflitto tra bene e male, una tendenza moraleggiante, la tensione religiosa
e il carattere edificante, la teoria della predestinazione, il simbolismo e il
frequente ricorso all'allegoria, uniti a un influsso dei testi sacri,
caratterizzano le opere di questi pionieri, per rimanere, in modo sfumato, in
tutta la produzione letteraria successiva. La poesia del periodo coloniale ha i
suoi maggiori rappresentanti in A. Bradstreet (1612-1672), autrice di una
raccolta di liriche piuttosto convenzionali e ancora vincolate al modello
elisabettiano (
La decima musa testé apparsa in America,
1650), in M. Wigglesworth (1631-1705), che nel poema
Il giorno del
giudizio (1662) espose approfonditamente la dottrina calvinista, e in E.
Taylor (1644 circa - 1729) che, fedele alla tradizione metafisica inglese e dei
concettisti anglo-cattolici, compose liriche improntate a un sincero sentimento
religioso, considerate tra le più alte espressioni del Barocco coloniale.
Nella prosa di W. Byrd (1674-1744), nato in Virginia e poi formatosi in
Inghilterra, non mancano spunti ironici, un tono più mondano e uno stile
più agile. Membro della commissione che doveva stabilire la linea di
confine della Virginia con la Carolina del Nord, descrisse il suo incarico tra
gli Indiani con note vivaci e umoristiche. In genere i coloni della seconda
generazione, nati in terra statunitense, riflettono nei loro scritti il
progressivo assestamento delle condizioni socio-economiche: lo slancio
pionieristico si è affievolito e il distacco spirituale e culturale dalla
madrepatria si è fatto più sensibile. Degni di nota, C. Mather
(1663-1728), che nei
Magnalia Christi Americana (1702), disegnò
una storia ecclesiastica del New England, improntata a una religiosità
intransigente e ricca di notizie sui personaggi dell'epoca; S. Sewall
(1652-1730), nei cui diari sono riportate acute riflessioni sui drammatici
processi alle streghe di Salem, che egli seguì in veste di giudice, e
S.K. Knight (1666-1727), autrice di un diario relativo a un suo viaggio a New
York, ricco di spunti interessanti e sagaci. Con J. Edwards (1703-1758),
vigoroso predicatore e autore di diversi sermoni, permeati dal terrore della
giustizia divina (
Peccatori nelle mani di un Dio irato, 1741), si
registrò un anacronistico ritorno al fanatismo dei primi coloni.
Fondatore del movimento nostalgico Revival, che poi prese il nome di Great
awakening (Gran risveglio), visse in modo contraddittorio l'insofferenza nei
confronti del Governo teocratico che già caratterizzava gli scritti di C.
Mather e improntò la sua attività religiosa a un rigore assoluto.
Tolleranza e solidarietà trovano invece spazio nelle pagine del diario
(
Journal, postumo, 1774) di J. Woolman (1720-1772), con cui si
anticipò il passaggio alla fase successiva, la cosiddetta “epoca
della ragione”. ║
L'“
epoca della ragione”:
in questa fase emerse la personalità di B. Franklin (1706-1790), i cui
scritti, redatti in uno stile semplice, lucido e incisivo, ripresi poi dalla
prosa successiva, riflessero gli orientamenti sociali ed economici del tempo.
Soprattutto con l'
Autobiografia (postuma 1868), ispirata ai principi
dell'Illuminismo, egli contribuì a instillare nella coscienza del Paese
quel pragmatismo che sarebbe poi divenuto nota caratteristica della
mentalità americana e, con la sua attività diplomatica, concorse a
preparare il terreno per l'imminente guerra d'Indipendenza contro l'Inghilterra
(1775). Tutta la letteratura di questa fase è caratterizzata da uno
spiccato sapore politico e propagandistico: pilastro della democrazia americana,
la
Dichiarazione d'indipendenza (1776) di Th. Jefferson (1743-1826),
deputato della Virginia e terzo presidente degli
S., contiene le linee di
pensiero fondamentali dell'epoca, tra cui, in primo piano, l'uguaglianza tra gli
uomini. Anche gli scritti di J. Dickinson (1732-1808), Th. Paine (1737-1809) e
A. Hamilton (1757-1804), improntati a schietta praticità e segnati da un
orientamento prettamente razionalistico, contribuirono a segnare l'opinione
pubblica, affrontando le questioni politiche e costituzionali della Nazione
nascente, tra cui l'alternativa tra l'indipendenza dei singoli Stati e la
soluzione federativa. A questa produzione di impronta politica si affiancarono i
testi, in prosa e poesia, degli schiavi africani deportati nelle colonie,
interessanti da un punto di vista storico e sociale in quanto dimostrazione di
un primo tentativo di conquista personale in un ambiente dove agli schiavi era
precluso per legge l'uso della scrittura. La personalità più
significativa fu quella di Oulaudah Equiano (1745-1797), conosciuto sotto lo
pseudonimo di Gustavus Vassa, che, ritornato libero giovanissimo, scrisse
un'autobiografia di indubbio valore letterario ispirata a un convinto
abolizionismo. L'“epoca della ragione” presentò, sul piano
poetico, una situazione di generale stasi, in cui però emersero i nomi di
J. Trumbull (1750-1831), J. Barlow (1754-1812), autore de
La colombiade
(1807), primo poema epico sulla storia del nuovo continente, e Ph. Freneau
(1752-1832), autore di pungenti testi satirici, con uno stile finalmente libero
da convenzioni, e di componimenti che anticiparono il gusto preromantico (
Il
cimitero indiano, 1778;
La casa della notte, 1779). ║
Il
periodo romantico: l'opera del botanico W. Bartram (1739-1823) introdusse
nella letteratura americana un nuovo elemento, il gusto per la natura selvaggia,
per i territori ancora poco conosciuti e le zone di frontiera, e segnò il
passaggio alla fase romantica. Con Ch.B. Brown (1771-1810), autore di origine
quacchera nativo di Filadelfia, il processo di affrancamento culturale dai
modelli inglesi può considerarsi compiuto e nei suoi romanzi
(
Wieland, 1798;
Ormond, 1799;
Edgar Huntly, 1799;
Arthur
Mervyn, 1799-1800), considerati origine del romanzo americano, il Gotico
inglese venne contestualizzato nel Nuovo Mondo. Alla diversa ambientazione
geografica si aggiunse una particolare attenzione per le pieghe più
oscure della psicologia dei personaggi, per le note più angoscianti, dato
poi ripreso e sviluppato nell'Ottocento da Poe, Melville e Hawthorne. Si
innestò in questo filone W. Irving (1783-1859), saggista e poi scrittore,
in cui il piacere per l'evasione fantastica si coniuga al gusto per il racconto
storico e per le relazioni di viaggio, e all'interesse per le saghe e leggende
europee, da lui trasposte sullo sfondo americano; rappresentativo, a questo
proposito,
Il libro degli schizzi (1819-20), mentre in
Bracebridge
hall (1822) e
Racconti di un viaggiatore (1824) prevalse la
rivisitazione del racconto di costume e in
Cronaca della conquista di
Granada (1829) e
L'Ahalambra (1832) forte fu il riflesso della sua
attività diplomatica in Spagna. L'opera di J.F. Cooper (1789-1851)
contemplò diversi generi, dal romanzo di guerra (
La spia, 1821),
al racconto marinaresco (
Il pilota, 1823), all'epopea della lotta tra
colonizzatori e nativi, in cui diviene centrale il tema della Frontiera,
l'avanzata verso le sconfinate praterie dell'Ovest, a cui venne dedicato il
ciclo
I racconti di Calza di Cuoio:
I pionieri (1823),
L'ultimo
dei mohicani (1826),
La prateria (1827),
La guida (1840) e
L'uccisore di cervi (1841). Al carattere celebrativo di questa saga si
contrappose il tono polemico delle ultime opere (
Satanstoe, 1845;
L'uomo in catene, 1845;
I pellirossa, 1846), scritte dopo un lungo
soggiorno in Europa, in cui è tangibile la delusione dell'autore di
fronte al nuovo indirizzo industriale assunto dal Paese, che aveva così
accantonato il modello di democrazia agraria originario. E.A. Poe (1809-1849)
è sicuramente la figura più significativa e interessante della
vita culturale americana della prima metà dell'Ottocento: narratore,
critico e giornalista, esordì con la poesia (
Tamerlano e altre
poesie, 1827) e il romanzo (
Le avventure di Gordon Pym, 1838), per
poi rinnovare in modo del tutto originale la struttura del racconto, ottenendo
una notevole perfezione formale (
Racconti del grottesco e arabesco, 1840;
Racconti, 1845), dando infine vita al romanzo poliziesco, creando, con la
figura di Monsieur Dupin, il modello del moderno detective. Ai motivi romantici,
alla predilezione per il fantastico, si affiancarono una componente prettamente
razionale, un'attitudine speculativa e un notevole rigore critico, che trovarono
espressione in saggi quali
La filosofia della composizione (1846) e
Il
principio poetico (1849). ║
Il Rinascimento americano:
l'espressione, che ripete il titolo di un noto saggio critico di F.O.
Matthiessen del 1841, designa quella corrente ispirata al Trascendentalismo, che
a sua volta rielaborò le linee dell'Idealismo tedesco. Mutuando da Kant
il concetto della centralità della conoscenza, questo movimento
filosofico-letterario, diffuso nella Nuova Inghilterra, reagì contro il
rigido Calvinismo imperante, come aveva cercato di fare la riforma della Chiesa
Unitaria, teorizzando una libertà religiosa che permettesse al singolo di
percepire la verità tramite la semplice intuizione e di partecipare alla
mente universale (
oversoul), dal momento che Dio è presente in lui
e nella natura. I maggiori esponenti furono R.W. Emerson, autore del
saggio-manifesto del nuovo pensiero
Natura (1836), H.D. Thoreau, N.
Hawthorne, H. Melville e W. Whitman. La vasta produzione letteraria di Emerson
(1803-1882), in cui il Trascendentalismo si adatta di volta in volta ai diversi
temi affrontati (dall'affermazione delle capacità individuali alla
libertà di testimonianza), fu determinante per il definitivo
affrancamento intellettuale della cultura statunitense dai modelli anglosassoni.
Il rapporto armonioso dell'uomo con la natura, da lui descritto nelle pagine del
Diario (1820-76), venne ripreso dall'amico H.D. Thoreau (1817-1862) nel
notissimo
Walden o la vita nei boschi (1854), diario dei due anni di
isolamento da lui volontariamente trascorsi nei boschi intorno a Concord, sua
città natale che vide lo sviluppo del cosiddetto movimento
trascendentalista. Nei testi successivi (
Disobbedienza civile, 1849;
Apologia per il Capitano John Brown, 1859) il discorso dell'autonomia del
singolo nei confronti della società, la tensione individualistica,
vennero sviluppati in senso politico, determinando in Thoreau un distacco
polemico dallo Stato, soprattutto nell'ambito del dibattito sull'abolizionismo.
Le stesse problematiche vennero riprese, con una visione questa volta
drammatica, da N. Hawthorne (1804-1864) che, scandagliando le pieghe più
recondite dell'animo umano, traspose il suo travaglio morale in opere di grande
spessore e valore letterario,
La lettera scarlatta (1850) prima fra
tutte; diviso tra la tradizione puritana, nella quale si inseriva la sua
famiglia, e un giudizio morale più flessibile, indagò l'anima e il
suo destino, e in genere l'ambiguità e i compromessi della condizione
umana. H. Melville (1819-1891) sviluppò gli stessi temi scegliendo la
forma dell'allegoria:
Moby Dick (1851), indiscusso capolavoro della
narrativa americana, seppur riconosciuto come tale molto tempo dopo la sua
pubblicazione, riflette la giovanile e intensa esperienza marinaresca
dell'autore, per assumere i toni di un grandioso dramma descritto con stile
multiforme, che riprende moduli espressivi biblici, shakespeariani e propri del
linguaggio scientifico: la difficile vita di bordo sul
Pequod e la lotta
ostinata del capitano Achab contro la balena bianca, simbolo del male del mondo,
altro non sono che l'immagine emblematica della tragicità del destino
umano. Tra le altre sue opere, vanno ricordate
Taipi (1846),
Omoo
(1847),
Mardi (1849),
Giacchetta bianca (1850),
I racconti
della veranda (1856),
L'agente segreto (1857) e
Billy Budd
(postumo, 1924). Con W. Whitman (1819-1892) il Rinascimento americano si
arricchì dell'esperienza poetica, vissuta all'insegna della rottura con
la tradizione: tra la prima (1855) e l'ultima (1891) edizione di
Foglie
d'erba, raccolta di poesie e di brani unanimemente considerata il suo
capolavoro, se ne inseriscono altre che rispecchiano via via l'evoluzione del
percorso interiore di questo immaginifico poeta, ricco della lezione del
Trascendentalismo, uomo irrequieto e tormentato, geniale cantore del progresso
sociale, della fratellanza fra gli uomini e di un certo misticismo cosmico. Per
affrontare i mille aspetti della quotidianità e parlarne al maggior
numero di persone, nelle sue liriche scelse uno stile semplice e popolare,
cadenzato solennemente alla maniera dei testi biblici. Altri poeti restarono nel
solco della tradizione romantica inglese: tra questi W.C. Bryant (1794-1878),
autore di un poemetto di stampo classico (
Thanatopsis, 1817), e W.
Longfellow (1807-1882), che animò la vita culturale di Boston tra gli
anni Quaranta e Cinquanta dell'Ottocento. Professore a Harvard e traduttore di
Dante, rimase sempre strettamente legato ai modelli europei e con tali moduli
formali e linguistici espresse motivi storici e folclorici americani in
componimenti popolari (
Evangelina, 1847;
La canzone di Hiawatha,
1855) di carattere convenzionale. Del Gruppo di Boston fecero parte anche J.G.
Whittier (1807-1892) e J.R. Lowell (1819-1891), che della Nuova Inghilterra
studiarono le tradizioni e il dialetto, e O.W. Holmes (1809-1894), la cui
produzione si pone tra letteratura e saggistica. La centralità del
Massachusetts nel panorama culturale americano dell'Ottocento venne ribadita,
oltreché dai romanzi di carattere storico di J.L. Motley (1814-1877) e
dalle opere sul tema della Frontiera di F. Parkman (1823-1893), dalla vastissima
produzione poetica di E. Dickinson (1830-1886), pubblicata in versione integrale
solo nel 1955. Caratterizzate da toni intensi e delicati e da ardite soluzioni
stilistiche, le sue poesie esprimono un distacco esasperato dal mondo e un
individualismo che, nei toni della contemplazione e della meditazione,
riflettono l'isolamento fisico dell'autrice nella casa paterna di Amherst. La
fine dell'Ottocento vide l'affermarsi di una tendenza realistica e
naturalistica, che si sarebbe protratta fino all'inizio del secolo successivo.
L'avanzata verso Ovest, il cosiddetto tema della Frontiera, già
affrontato, tra gli altri, da J.F. Cooper e da F. Parkman, in quello scorcio di
secolo produsse sugli scrittori americani un effetto maggiore di quanto non
seppe fare la guerra civile. Si deve a F.B. Harte (1836-1902), giornalista e
romanziere di origine newyorchese, una raccolta di racconti ambientati
nell'Ovest (
La fortuna di Roaring Camp, 1870) e pure M. Twain
(1835-1910), giornalista fecondissimo, sottile caricaturista e grande oratore,
esordì con
La famosa rana saltatrice della contea di Calaveras
(1865),
racconto umoristico sulla Frontiera, per divenire poi uno dei
principali romanzieri del secondo Ottocento. Tra le sue opere di maggiore
successo, improntate a un intenso realismo, ottenuto anche con l'impiego di una
lingua duttile che è riflesso del parlato e delle differenze dialettali,
e caratterizzate da toni picareschi e da una predilezione per i temi connessi
all'infanzia, il sogno, il gioco e le scoperte, ricordiamo:
Le avventure di
Tom Sawyer (1876);
Le avventure di Huckleberry Finn (1884);
Un
americano alla corte di re Artù (1889). L'ottimismo e la fiducia nel
futuro lasciarono posto, nelle ultime opere (
Wilson lo zuccone, 1894;
L'uomo che corruppe Hadleyburg, 1900;
Lo straniero misterioso,
1916, incompiuta e postuma), a una desolata cupezza, accentuata anche da una
serie di tragici eventi familiari. Lo sperimentalismo linguistico ritornò
in certi racconti di J.Ch. Harris (1848-1908), che riproducono brillantemente la
parlata degli schiavi delle piantagioni. In questo stesso ambiente geografico si
svolge l'azione de
La capanna dello zio Tom (1852), romanzo di modesto
valore letterario, ma di grande influsso storico-sociale, con cui l'autrice H.
Beecher Stowe (1811-1896) contribuì a promuovere la causa abolizionista.
Nel panorama letterario dell'epoca si distinsero due altre scrittrici: K. Chopin
(1849-1909), che con il romanzo
Il risveglio (1899)
diede voce, seppur simbolica, all'identità femminile che dopo anni di
annullamento andava allora lentamente riaffermandosi; S.O. Jewett (1849-1909),
nativa del Maine di cui descrisse, ne
Il paese degli abeti aguzzi (1896),
l'involuzione economica e sociale nel passaggio dal mercantilismo
all'industrialismo, segnalandosi come intensa scrittrice regionale. L'ambiente
borghese dell'epoca, diviso tra moralità e ambizione, riflesso della
profonda trasformazione sociale determinata dalla rivoluzione industriale,
trovò espressione nelle pagine di W.D. Howells (1837-1920), romanziere di
spicco nei filoni realistico e del romanzo cortese; tra i titoli principali:
Un incontro occasionale (1873);
Un esempio moderno (1881);
L'ascesa di Silas Lapham (1885). Gli stessi temi e ambienti cari a Howells
furono poi ripresi e sviluppati magistralmente da H. James (1843-1916),
caposcuola del Realismo e prolifico autore di romanzi finemente introspettivi
nei quali ritrasse il conflitto culturale tra l'Europa - da cui fu affascinato,
giovanissimo, nei numerosi viaggi con la famiglia e che scelse poi come patria
nella seconda parte della sua vita - e il Nuovo Mondo, descrivendo al contempo
il declino della società borghese, avvalendosi di moduli stilistici e
narrativi maturi e compiuti, di
cui avrebbe fatto trattazione sistematica
in un saggio critico dell'ultimo periodo
L'arte del romanzo (postumo,
1934). Tra le sue opere di maggiore successo, segnaliamo
Daisy Miller
(1879),
Ritratto di signora (1881),
I bostoniani (1886),
Il
carteggio Aspern (1888),
Una vita londinese (1888),
Giro di vite
(1898),
Le ali della colomba (1902),
Gli ambasciatori
(1903),
La coppa d'oro (1904). Anche E. Wharton (1862-1937), affine a
James per tematiche e stilemi, lasciò la nativa New York per stabilirsi
in Europa, restando comunque attenta cronista della società americana del
suo tempo, di cui, con
La casa dell'allegria (1905) e
L'età
dell'innocenza (1920) stigmatizzò gli aspetti connessi all'avvento
dei nuovi ricchi. Nel solco della tradizione naturalistico-realistica si mossero
anche altri autori: H. Garland (1860-1940), che nella raccolta di racconti
Le
strade più battute (1891) descrisse le misere condizioni
storico-sociali dell'Ovest agrario; S. Crane (1871-1900), autore de
Il segno
rosso del coraggio (1895) in cui, pur privo di qualsiasi esperienza bellica,
seppe dipingere con notevole intensità il quadro della guerra civile,
ricreando in modo veristico gli stati d'animo e le reazioni fisiche di un
giovane soldato; F. Norris (1870-1902), seguace di Zola, da lui conosciuto a
Parigi, più incline alla descrizione dei processi di degenerazione
psicofisica, come in
Una storia di San Francisco (1899); J. London
(1876-1916), che nei suoi romanzi trasferì l'azione in spazi aperti e
primordiali (
Il richiamo della foresta, 1903;
Zanna bianca, 1906),
o scelse la forma della biografia (
Martin Eden, 1909;
John
Barleycorn,1913); Th. Dreiser (1871-1945), che analizzò, in un
naturalismo esasperato, le reazioni psichiche degli individui a contatto con
ambienti urbani (
Nostra sorella Carrie, 1900;
Una tragedia
americana, 1925); H.B. Adams (1838-1918), che ne
L'educazione di Henry
Adams (1906) diede voce al malessere degli intellettuali dell'epoca. Tra le
voci femminili del movimento non possiamo non ricordare E.A. Glasgow
(1862-1937), nei cui scritti, ad esempio
Virginia (1913) o
Terra
sterile (1925), trasferì ambienti e problematiche della nativa
Virginia in un contesto cortese, o W.S. Cather (1873-1947), scrittrice cattolica
che utilizzò l'originario Nebraska come sfondo nel quale dipanare vicende
legate a figure di eroine simili a quelle nate dalla penna di James (
Il gelso
bianco, 1913;
La mia Antonia, 1918). ║
Il Modernismo: i
primi decenni del Novecento furono caratterizzati da un forte sperimentalismo di
marca modernista. In campo poetico dominò l'esigenza di un linguaggio
rinnovato, in rottura con le forme e i moduli tradizionali e aderente a una
realtà in veloce evoluzione: il manifesto di questa nuova tendenza, detta
Imagismo, venne pubblicato nel 1913 sulla rivista d'avanguardia
“Poetry”, fondata da H. Monroe a Chicago, città che in quegli
anni era divenuta vivace centro culturale. All'inizio i maggiori esponenti
furono G. Stein (1874-1946), trasferitasi presto in Europa e conosciuta anche
per i suoi testi in prosa (
Autobiografia di A. Toklas, 1933), che in
Teneri bottoni (1911-12) tratta la poesia al pari delle arti figurative
attuando una scomposizione linguistica di tipo cubista, ed E. Pound (1885-1972),
che pure all'America scelse l'Europa, i cui
Cantos (1919-70),
caratterizzati da un impasto multiforme di lingue, toni e stili e da una
progressiva adesione al vorticismo e al sincretismo, ebbero un'influenza
determinante sulla poesia sperimentale di tutto il Novecento. A Pound si deve
anche la scoperta di altri poeti, primo fra tutti l'anglo-americano T.S. Eliot
(1888-1965), che nelle sue opere (
Prufrock e altre osservazioni, 1917;
La terra desolata, 1922;
Mercoledì delle ceneri,
1927-30;
Quattro quartetti, 1943) espresse la crisi profonda di un mondo
senza più valori e punti di riferimento, mitigando solo in parte tale
sconforto con la conversione all'Anglicanesimo. Eliot fu anche autore di drammi,
tra i quali ricordiamo:
Assassinio nella cattedrale (1935),
Riunione
di famiglia (1939),
Cocktail party (1950). Si innestano nel
Modernismo anche W.C. Williams (1883-1963), partito dall'imagismo e approdato a
un linguaggio sempre più concreto, e W. Stevens (1879-1955), diviso tra
Simbolismo francese, Impressionismo e Sperimentalismo; rimasero entrambi legati
alla realtà statunitense che, come già ricordato, aveva fatto di
Chicago il centro propulsore delle nuove tendenze e in cui operava E.L. Masters
(1869-1950), autore della notissima
Antologia di Spoon River (1915),
arrivata in Italia grazie all'interessamento di C. Pavese e tradotta da F.
Pivano. E ancora vanno ricordati E.E. Cummings (1894-1962), che traspose in
versi ritmi e tempi espressivi tipici del linguaggio orale, adottando anche
accorgimenti linguistici particolari quali l'uso costante di minuscole
(
Etcetera, 1925;
Viva, 1931;
50 poesie, 1940); L. Hughes
(1902-1967), poeta afro-americano che in
Blues stanchi (1926) seppe dar
voce alla cultura e al linguaggio tipico dei neri, diventando figura di spicco
della cosiddetta Harlem Renaissance; H. Crane (1899-1933), che traspose nelle
sue liriche, caratterizzate da una netta vena tragica che determinò anche
la sua vita, grande potenza visionaria; E.A. Robinson (1869-1935), capace di
analizzare in modo profondo aspetti e figure della realtà contemporanea;
R. Frost (1874-1963), che scelse di utilizzare nelle sue opere (ricordiamo
Testamento di un fanciullo, 1913, e
A Nord di Boston, 1914) un
linguaggio semplice, alla portata di tutti; M. Moore (1887-1972), eclettica e
ironica, vicina allo Sperimentalismo di W. Stevens e W.C. Williams, divisa tra
impeti fantastici e approccio razionalistico. Nella narrativa, il Modernismo
trovò espressione nei
Racconti dell'Ohio (1919) di S. Anderson
(1876-1941), nei quali ha ampio spazio il perturbamento dell'individuo in una
società sempre più meccanizzata e industrializzata; nei romanzi di
F.S. Fitzgerald (1896-1940) - tra cui
Il Grande Gatsby (1925) e
Tenera
è la notte (1934), modelli di lucidità formale e specchio
della cosiddetta “età del jazz”, divenuti classici della
letteratura americana - e di E. Hemingway (1899-1961), quali
Il sole sorge
ancora (1926),
Addio alle armi (1929), ma anche i racconti della
raccolta
Nel nostro tempo (1925), il cui stile narrativo scevro da
sentimentalismi e improntato a un'essenzialità cronachistica avrebbe
fatto scuola; e ancora nella trilogia
U.S.A. (1930-36) di J. Dos Passos
(1896-1970) o nei romanzi di H. Miller (1891-1980),
Tropico del Cancro
(1934) e
Tropico del Capricorno (1939), stilisticamente liberi e arditi
nella scelta delle tematiche sessuali, e nelle opere di N. West (1903-1940), tra
cui ricordiamo
Il giorno della locusta (1939), condanna della
società statunitense fatta attraverso il microcosmo hollywoodiano, che
egli aveva conosciuto in qualità di sceneggiatore. Un posto di spicco
occupa l'opera di W. Faulkner (1897-1962), il maggiore tra i narratori del
Novecento, Nobel per la letteratura nel 1949, che proietta la sua amara visione
della condizione umana, irrimediabilmente minacciata dal male, sullo sfondo
della contea del Mississippi (
L'urlo e il furore, 1929;
Santuario,
1931;
Luce d'agosto, 1932;
Assalonne! Assalonne!, 1936;
Il
borgo, 1940). Agli stessi paesaggi del Sud rivolsero la loro attenzione J.
Cain (1892-1977), autore de
Il postino suona sempre due volte (1934), e
C. McCullers, nota per la particolare sensibilità con cui affrontò
il tema dell'incomunicabilità (
Riflessi in un occhio d'oro, 1941;
Invito di nozze, 1946). Da ricordare, sia per lo sperimentalismo
linguistico, sia per la loro denuncia del degrado sociale accompagnata a un
interesse ai problemi di attualità, S. Lewis (1885-1951), Nobel per la
letteratura nel 1930 (
Strada maestra, 1920;
Babbitt, 1922); U.
Sinclair (1878-1968); J. Steinbeck (1902-1968), particolarmente vicino alla
misera condizione della realtà agricola sullo sfondo della Depressione,
di cui
Uomini e topi (1937) e
Furore (1939) restano le opere
più significative; H. Roth (1906-1995), la cui sola opera di rilievo,
Chiamalo sonno (una storia scritta nel 1936 ma definitivamente riscoperta
negli anni Sessanta, nella quale trova spazio la vicenda di un ragazzino ebreo
negli
slums newyorchesi), fece del romanziere ebreo un caso letterario
cui contribuì la sua decisione di interrompere per molti anni
l'attività di scrittore; Th. Wolfe (1900-1938), narratore afro-americano
di portata internazionale, voce della discriminazione razziale
(
Angelo, guarda il passato, 1929;
Non puoi tornare a casa,
postumo 1940), così come R. Wright (1908-1960), conosciuto per
Paura (1940) e
Ragazzo negro (1945). Differente è invece la
produzione di H.P. Lovecraft (1890-1937) che, sulla scia di Poe, si
dedicò a un tipo di narrazione nella quale elementi fantastici e
visionari si uniscono per dar forma a racconti horror e fantascientifici
(
L'orrore di Dunwich, 1927;
Le montagne della follia, 1936). In
seno al Modernismo si svilupparono anche una tradizione di teatro d'autore e una
forte tradizione critica. La prima, fino ad allora pressoché inesistente,
trovò in E. O'Neill (1888-1953) il suo iniziatore. Legato per anni alla
compagnia dei Provincetown players, raggiunse l'apice del successo con
Strano
interludio (1928) e
Il lutto si addice a Elettra (1931), in cui i
modelli del contemporaneo teatro europeo si fondono con la rivisitazione della
tragedia greca. A D. Belasco (1859-1931) si devono
Madama Butterfly
(1900) e
La fanciulla del West (1905), divenuti poi libretti per le
omonime opere liriche di G. Puccini; a E. Rice (1892-1967)
La macchina
calcolatrice (1923) e a C. Odets (1906-1963)
Svegliati e canta!
(1935) e
Aspettando Lefty (1935), testi, insieme ad altri, caratterizzati
da forte impegno politico e sociale. Quanto allo sviluppo di una tradizione
critica, anticipata dai già citati saggi di E.A. Poe e di H. James, le
prime prove, magistrali, furono gli scritti di E. Pound (
Lo spirito del
romanzo, 1910;
Investigations, 1920;
Saggi letterari di Ezra
Pound, raccolta pubblicata postuma nel 1954 da T.S. Eliot) e
Il bosco
sacro (1920) e
Dante (1929) di T.S. Eliot. Ma è intorno alla
figura e all'opera di J.C. Ransom (1888-1974), padre del New Criticism, un
movimento che poneva al centro dello studio critico il testo letterario, che si
concentrarono i maggiori critici dell'epoca: R.P. Warren (1905-1989), A. Tate
(1899-1979), Y. Winters (1900-1968), C. Brooks (1906-1994) e L. Trilling
(1905-1975). Nei saggi di F.O. Matthiessen (1902-1950), già citato per la
sua definizione e analisi del Rinascimento americano, all'importanza del testo
si affianca quello del contesto storico sociale in cui tale testo è nato,
principio che guiderà, poi, la critica marxista. Alla fase più
acuta della “guerra fredda”, dal secondo dopoguerra agli anni
Sessanta, corrispose un panorama letterario complesso, segnato da crisi e
disorientamento. Su questo sfondo si imposero, non come figure marginali, ma
come americani rappresentativi, narratori ebrei e afro-americani che
anticiparono la tendenza al multiculturalismo dei decenni successivi.
Testimoniano il senso di alienazione e di impotenza, diffuso soprattutto tra i
giovani, le opere di S. Bellow (1915-2005), Nobel per la letteratura nel 1976, tra
cui
L'uomo in bilico (1944),
Herzog (1964) e
Il dono di
Humboldt (1975);
Il giovane Holden (1951) di J.D. Salinger (n. 1919),
venato di ironia e comicità e specchio del linguaggio giovanile del
tempo. La protesta contro le oppressive strutture sociali e contro la
segregazione razziale trovò spazio nelle pagine de
L'uomo
invisibile (1952) dell'afro-americano R. Ellison (1914-1994) e in quelle di
Gridalo forte (1953) di J. Baldwin (1924-1987), che con
La camera di
Giovanni (1956) e
Un altro mondo (1961) affrontò anche il tema
dell'omosessualità; la condizione ebraica nelle città,
contrassegnata da povertà e squallore, venne, invece, descritta ne
Il
commesso (1957) e ne
Gli inquilini (1971) di B. Malamud (1914-1986),
che insieme al già citato S. Bellow, a I.B. Singer (1904-1991) e a P.
Roth (n. 1933) si inserì nella tradizione yiddish, conservandone la vena
dolorosa e lo humour fantastico. Altro grande interprete del disagio profondo di
quegli anni, segnati anche dall'impegno americano nella guerra in Vietnam, N.
Mailer (n. 1923) esordì con un romanzo antimilitarista
Il nudo e il
morto (1948), per poi raccontare i miti, i sogni (
Un sogno americano
è del 1965) e le “malattie” di un Paese segnato da forti
contraddizioni ed esprimere il suo dissenso, annullando provocatoriamente sul
piano stilistico le barriere tra i diversi generi. La lucida e graffiante
critica della realtà politico-sociale statunitense proseguì con
Myra Breckinridge di G. Vidal (n. 1925) e con
A sangue freddo
(1966) di T. Capote (1924-1984). In ambito poetico si distinsero due scuole:
quella dei poeti “confessionali”, tra cui ricordiamo R. Lowell
(1917-1977), W.D. Snodgrass (n. 1926), Th. Roethke (1908-1963), S. Plath
(1932-1963) e A. Sexton (1928-1974), le opere dei quali sono contrassegnate da
una torturata analisi di sé, e la Black Mountain School, con R. Creeley
(n. 1926), D. Levertov (1923-1997) e Ch. Olson (1910-1970), improntata a una
massima libertà metrica e fautrice di una poesia “dinamica”,
in cui il rapporto tra corpo e verso è primario. Quest'ultima
influenzò, in qualche modo, gli scrittori e i poeti della Beat
Generation, tra cui W. Burroughs (1914-1997), non esente dalla lezione
surrealista, J. Kerouac (1902-1969), L. Ferlinghetti (n. 1919), A. Ginsberg
(1926-1997) e G. Corso (1930-2001), che cercavano nei viaggi, nella mistica
orientale, nella sfrenatezza sessuale, nell'alcool e nelle droghe, la piena,
libera e anticonformistica espressione della propria personalità,
riflessa poi in uno stile e in un linguaggio multiformi e distorti e in una
ricerca di spontaneità e immediatezza, di grande impatto popolare, come
nelle poesie-canzoni dell'ultimo Ginsberg. Il teatro statunitense, che aveva
avuto in E. O'Neill il suo iniziatore, attraversa ora un periodo particolarmente
fecondo con opere quali
Morte di un commesso viaggiatore (1949),
Il
crogiuolo (1953) e
Uno sguardo dal ponte (1955)
di A. Miller
(1915-2005) e
Lo zoo di vetro (1945),
Un tram chiamato desiderio
(1947) e
La gatta sul tetto che scotta (1955) di T. Williams (1911-1983).
║
Tra postmoderno e multiculturalismo: il definitivo tramonto del
sogno americano portò, negli anni Settanta, a una revisione e a un
ripensamento delle passate esperienze che si traducono, in ambito letterario,
nell'annullamento del romanzo inteso come mezzo critico per analizzare la
realtà, con un conseguente ripiegamento sul privato e un'introspezione
psicologica nuova. La scrittura non riflette più la realtà, ma la
distorce, per raccontare con toni surreali, incubi, contorsioni mentali,
atmosfere gotiche e fantascientifiche: appartengono a questo filone, K. Vonnegut
(n. 1922), J. Purdy (n. 1923), Th. Pynchon (n. 1937), D. Barthelme (1931-1989),
W. Gaddis (1922-1998), J. Hawkes (1925-1998), R. Federman (n. 1928) e P. Auster (n.
1946). Il romanzo riprese forma con H. Robbins (1916-1997), attento e smaliziato
cantore della vita quotidiana, E.L. Doctorow (n. 1931), interessato a temi
sociali e storici, J. Updike (n. 1932) autore di una saga sull'uomo medio
americano (
Corri, Coniglio, 1960;
Il ritorno di Coniglio,
1971;
Sei ricco, Coniglio, 1982;
Riposa, Coniglio,
1991) e J. Irving (n. 1942), autore del best seller
Il mondo secondo Garp
(1978) che, tra realismo e toni grotteschi, ritrae la moderna società
americana. Il romanzo etnico ebbe soprattutto voce femminile e multiculturale:
ricordiamo le nere P. Marshall (n. 1929), T.C. Bambara (1939-1995), G. Jones (n.
1949), A. Walker (n. 1944), G. Naylor (n. 1950) e T. Morrison (n. 1931, premio
Nobel nel 1993), le sino-americane M.H. Kingston (n. 1940) e A. Tan (n. 1952) e
L.M. Silko (n. 1948), portavoce, insieme ai colleghi uomini N.
Scott Momaday (n. 1934), J. Welch (1940-2003) e D. Niatum (n. 1938), delle ragioni
e dei pensieri dei nativi americani. La stessa frammentazione etnica
caratterizzò il panorama della poesia, che risentì dell'influsso
delle scuole prima citate, e in cui la tradizione afro-americana è quella
più rappresentata: alla figura storica di R. Hayden (1913-1980), si
affiancarono E. Knight (1931-1991) e M. Harper (n. 1938), la cui scrittura
oscilla tra ritmi blues e jazz. G. Brooks (1917-2000), J. Jordan (1936-2002) e S.
Sanchez (n. 1935), tra le altre, ribadirono la preminenza delle donne nel genere
poetico di quegli anni, conseguenza del neonato movimento femminista. R. Carver
(1939-1988), G. Paley (n. 1922), T. Olsen (n. 1913), J. Mc Inerney (n. 1956), D.
Leavitt (n. 1962) furono i maggiori esponenti di quel minimalismo che nella
forma del racconto e in un'attenta cura stilistica trovò la sua
espressione più felice. Nel genere poliziesco si segnalarono M. Spillane
(n. 1918), M. Crichton (n. 1942) e il già citato P. Auster (n. 1946),
tutti in un certo senso debitori dei grandi autori del genere
noir quali
l'inglese trapiantato americano J.H. Chase (1906-1985), R. Chandler (1888-1959)
e D. Hammett (1894-1961); in quello giudiziario, fortunatissimo, S. Turow (n.
1949) e J. Grisham (n. 1955), e in quello del cosiddetto “medical
thriller” P. Cornwell (n. 1956) mentre I. Asimov (1920-1992), R. Heinlein
(1907-1988), Ph.K. Dick (1928-1982) e N. Spinrad (n. 1940) svilupparono il
romanzo di fantascienza e S. King (n. 1946) il racconto horror. Tra le
scrittrici, che testimoniarono la riscoperta dell'identità femminile, M.
McCarthy (1912-1989), S. Sontag (1933-2004), P. Highsmith (1921-1995) ed E. Jong
(n. 1942). I testi di E. Albee (n. 1928) -
Il sogno americano (1961),
Chi ha paura di Virginia Woolf? (1962) - insieme a quelli di A. Kopit (n.
1937) e di S. Shepard (n. 1943), proseguirono validamente la tradizione
teatrale, innovata da autori quali D. Mamet (n. 1947), R. Wilson (n. 1941) e
dagli sperimentalismi dei circuiti alternativi dell'Off Broadway e
dell'Off-off-Broadway, che con il Living Theatre, l'Open Theatre e i vari teatri
“di strada” e “di guerriglia” cercarono nuove forme di
rappresentazione (i cosiddetti
happening), e rifletterono, nei temi e nel
linguaggio sempre più innovativo e libero, gli aspetti più roventi
della realtà sociale, per assumere un ruolo di guida nel teatro
contemporaneo.
ARTEArchitettura: la
più antica testimonianza architettonica del Paese è costituita
dall'insediamento di Saint Augustine, fondato nel 1565 dai coloni spagnoli sulla
costa atlantica della Florida. Successivamente allo sviluppo di tali costruzioni
a carattere prevalentemente militare (
presidios),
commerciale
(
pueblos)
o religioso (
missiones) e fino a tutto il XVIII
sec., si ebbe l'edificazione di chiese in pietra di architettura influenzata
dagli stili rinascimentale e barocco (cattedrale di Saint Augustine). I coloni
inglesi, invece, sia per le convinzioni etico-religiose sia per le difficili
circostanze ambientali, iniziarono tardi a maturare compiuti progetti
urbanistici e architettonici. Nel New England si diffusero tipologie edilizie
come il
balloon frame, nelle quali il legno era impiegato quale primo
materiale di costruzione. Negli Stati anglosassoni meridionali, viceversa, dove
fino a tutto il XVII sec. l'unica città di una certa rilevanza fu
Williamsburg, i latifondisti fecero costruire ville notevoli per dimensioni e
sfarzo. Con lo sviluppo economico e urbanistico del XVIII sec. si impose,
soprattutto nelle città del Nord e dell'Est, il gusto architettonico
della madrepatria britannica che perdurò fino a tutto il XIX sec.,
nonostante la conquista dell'indipendenza (1783) avesse fatto emergere
l'esigenza di un'architettura nazionale. Il primo periodo repubblicano
(1789-1829) fu contrassegnato dall'influenza di R. Adam. Gli edifici pubblici e
quelli privati residenziali delle grandi città furono improntati a uno
stile neoclassico, considerato massima espressione della civiltà. In
questo periodo determinante fu l'operato dell'architetto-presidente T. Jefferson
(il Campidoglio di Richmond, Virginia; i colonnati e la rotonda
dell'università di Charlottesville). Un analogo stile caratterizza il
Campidoglio e la Casa Bianca di Washington, che costituirono il modello per
tutti gli edifici pubblici delle altre città statunitensi. Il secondo
periodo repubblicano (1829-76) fu segnato da un eclettismo formale mutuato dalle
contemporanee esperienze europee: il Neogotico inglese si manifesta nella
cattedrale di St. Patrick a New York, lo stile Tudor in molti edifici
universitari. Nella seconda metà del XIX sec., personalità come
L.H. Sullivan e movimenti come la scuola di Chicago contribuirono ad affrancare
l'architettura statunitense dalla sudditanza europea. La ricerca della massima
funzionalità e i progressi tecnologici portarono, di pari passo con
l'aumento di valore delle aree urbane, alla realizzazione dei primi grattacieli,
che diventarono presto l'elemento più tipico del panorama urbano. Alla
progettazione delle grandi città americane, cui è spesso sottesa
l'attività di studi professionali organizzati come vere e proprie
industrie, si contrappose la struttura del suburbio, organizzato in una serie di
case unifamiliari accostate, negazione di ogni concetto di aggregato urbano.
Nella prima metà del XX sec., un fondamentale apporto alla ricerca
architettonica fu dato da F.L. Wright, discepolo e continuatore di Sullivan,
formatosi sull'esperienza della scuola di Chicago. Negli anni Trenta, l'arrivo
negli
S. di alcuni grandi architetti tedeschi (W. Gropius, L. Mies van
der Rohe, M. Breuer, E. Mendelson), costretti all'esilio con l'avvento del
Nazismo, diede un grande impulso all'architettura americana, destinato a
esaurirsi solo nel secondo dopoguerra, quando il modello razionalista fu rimesso
in discussione in favore di soluzioni più complesse e plasticamente
elaborate. Di questo rinnovamento sono già significative testimonianze il
progetto del Lincoln Center (P. Johnson, 1958) e l'edificio della General Motors
a Warren, Michigan (E. Saarinen, 1956). La rottura della continuità
rispetto al passato può dirsi compiuta con le opere di L. Kahn e P.
Rudolph. Accanto a progetti dimensionalmente imponenti come il World Trade
Center a New York (M. Yamasaki, 1972), la Sears Tower a Chicago (SOM, 1974), il
World Financial Center a New York (C. Pelli, 1981-87), vanno ricordati alcuni
interessanti progetti di edilizia museale, come il National Air and Space Museum
(studio Hellmuth, Obata e Kassabaum, 1976), l'High Museum ad Atlanta e il Getty
Center a Los Angeles (R. Meier, 1983-96), e di edilizia residenziale, come Twin
Parks North-East, Bronx (R. Meier, 1969-72) o Battery Park City a New York
(piano generale, Cooper, Eckstut Ass., 1979-93). ║
Pittura: in
epoca coloniale, a causa della rigida morale puritana, l'attività
artistica si limitò all'esecuzione di ritratti da parte di pittori
itineranti, per lo più rimasti anonimi, opere che a volte rivelano
qualità di ingenuità e freschezza, nonostante la scarsa tecnica.
Soltanto dalla metà del XVIII sec. emersero personalità definite,
la cui produzione si ispirava a modelli sia britannici sia italiani. Tra questi
artisti figurano J. Smiberg, formatosi in Inghilterra e in Italia, P. Vanderlyn,
R. Feke, lo svedese G. Hesselius, l'inglese J. Blackburn e G. Stuart. A
quest'ultimo si deve una famosa serie di ritratti di G. Washington. Soprattutto
rilevanti, nella seconda metà del secolo, furono le personalità di
B. West e J.S. Copley. Formatisi in Europa, si produssero nella ritrattistica e
nella pittura di soggetto storico, ispirata ad avvenimenti della recente storia
americana. Successore di Reynolds alla presidenza della Royal Academy
britannica, West divenne un punto di riferimento per i giovani pittori americani
che andavano a studiare in Europa. Agli albori dell'Ottocento l'arte americana
riuscì a trovare elementi di originalità nella pittura di
paesaggio e di genere, di cui sono rappresentanti W. Allston, J. Vanderlyn e
C.W. Peale. Attivo anche come organizzatore culturale, Peale creò nel
1806 il nucleo della Pennsylvania Academy, il primo museo e pinacoteca negli
S. La pittura di paesaggio di Peale e Allston contribuì alla
formazione della Hudson River School, la prima scuola pittorica americana, i cui
esponenti tendevano a una rappresentazione realistica delle bellezze naturali
della valle dell'Hudson. Oltre a T. Cole, animatore del gruppo, fecero parte
della scuola A.B. Durand, J.F. Fensett, S. Eastman, G. Catlin (che si
interessò anche alle espressioni artistiche dei nativi americani). Un
posto particolare occupa J.J. Audubon, autore di raffinati acquerelli e disegni
di fauna americana. Alla fine dell'Ottocento le avanguardie europee trovarono
fertile terreno nell'arte di pittori statunitensi come W. Homer, G. Inness, F.
Duveneck, M. Cassatt, sensibili alla lezione dell'Impressionismo francese.
L'incomprensione del pubblico verso la loro ricerca condusse alcuni di loro
all'autoisolamento; tra questi W. Homer, T. Eakins, pittore di crudo realismo, e
A.P. Ryder, considerato l'iniziatore di quella corrente surrealista che
rappresenta una costante della pittura americana. Altri, come J.A. Whistler, M.
Cassatt e J.S. Sargent, si trasferirono addirittura in Europa. Il XX sec. si
aprì con eventi culturali destinati a segnare gli sviluppi dell'arte
pittorica statunitense: la mostra del Gruppo degli Otto (New York, 1908) e
l'Armory Show, organizzato da A. Stieglitz nel 1913 e dedicato all'avanguardia
europea postimpressionista. Il Gruppo degli Otto, politicamente progressista,
esprimeva contenuti nuovi in uno stile estremamente conservatore; i modernisti
americani, viceversa, pur scegliendo soggetti convenzionali, ricercavano
soluzioni stilistiche alternative alla tradizione realistica americana. I
movimenti d'avanguardia più interessanti di quegli anni furono il
movimento futurista (principali esponenti J. Stella e M. Weber), il Sincronismo
(M. Russel e S. MacDonald-Wright) e il Dadaismo americano che, stimolato dalla
presenza degli europei M. Duchamp e F. Picabia, ebbe in Man Ray il suo
più significativo esponente. Un ruolo di primo piano nella diffusione
dell'arte d'avanguardia fu svolto, dal 1920, dalla Société
Anonyme, fondata da Duchamp, Man Ray e K. Dreier. Ugualmente significative le
correnti del Realismo americano (precisionisti, regionalisti,
American scene
painters) che negli anni della crisi economica si ispirarono a scenari
metropolitani o provinciali per esprimere le condizioni di miseria ed
emarginazione delle classi subalterne. Meritano un cenno le personalità
di J. Marin, fautore di un espressionismo semiastratto che trovava la sua fonte
d'ispirazione nella città di New York, e di E. Hopper, creatore di
desolate atmosfere urbane. L'esodo verso gli
S. di artisti europei come
M. Beckmann, P. Mondrian, F. Léger e M. Ernst, dovuto dalla tragica
situazione politica susseguente all'affermarsi del Nazismo, favorì lo
straordinario successo dell'Astrattismo, che fino alla fine degli anni Cinquanta
fu la tendenza più vitale nell'arte americana: basti pensare
all'
action painting, come fu definita l'arte di J. Pollock, W. de Kooning
e altri. Alla fine degli anni Cinquanta, in reazione all'idealismo e
all'introspezione dell'Espressionismo astratto, si ebbe l'irrompere sulla scena
artistica americana della
pop art, caratterizzata dall'uso di oggetti
d'uso comune, proposti come simbolo della moderna civiltà consumistica, e
dall'iterazione seriale del prodotto artistico. R. Rauschenberg, C. Oldenburg,
J. Johns, N. Lichtenstein, J. Rosenquist, A. Warhol ne furono gli esponenti
più rappresentativi. La ricerca intrapresa con la
pop art
sfociò poi nell'Iperrealismo, teso alla riproduzione illusionistica
della realtà (M. Morley, A. Leslie, C. Close, J.C. Clarke). Dagli inizi
degli anni Sessanta numerosi furono i movimenti artistici non figurativi portati
all'attenzione del grande pubblico da memorabili eventi espositivi (
Toward a
new abstraction, New York, 1963;
Post-painterling abstraction, Los
Angeles, 1964). La mostra
The responsive eye (New York, 1965)
segnò invece il debutto dell'
optical art, basata sulla dinamica
della percezione e sull'illusione ottica. L'irrequietezza dell'ambiente
artistico americano si palesa nella nascita di molteplici indirizzi di ricerca:
sotto l'espressione
color fìeld paintings si raggruppano opere di
H. Frankenthaler, K. Noland e J. Olitski;
hard-edge painting sono state
definite opere dalle forme nettamente delimitate di E. Kelly, L.P. Smith, A.
Held, F. Stella,
shaped canvas quelle di Ch. Hinman, P. Feeley e ancora
di F. Stella; pittura monocromatica le opere di R. Ryman e R. Mangold.
Systemic painting e
minimal art rientrano nell'ambito più
ampio dell'arte concettuale (A. Martin, J. Baer, W. Insley, D. Bannard, R.
Bladen, R. Morris, D. Judd, C. Andre, S. LeWitt, D. Flavin, R. Smithson, ecc.).
Viene ora portato alle estreme conseguenze il processo intrapreso dalla
pop
art, trasformando il prodotto artistico da oggetto fisico a immagine
mentale, attraverso l'uso di video, definizioni, formule (J. Kosuth, D.
Huebler). Interessanti le esperienze della
computer art (P. Citron, J.
Whitney, A.M. Noll) e dell'
electric art (Chryssa, S. Antonakos, B.
Nauman), che sfrutta la luce artificiale come mezzo espressivo. Con gli anni
Ottanta si assistette, analogamente a quanto accadde in Europa, al ritorno del
figurativo, che trovò nell'arte della strada (murales e graffiti)
un'espressione tra le più fresche e originali. Tra gli artisti più
noti ricordiamo: D. Salle, R. Longo, C. Sherman, K. Haring, J.M. Basquiat.
║
Scultura: la produzione scultorea rimase a lungo legata ai modi
neoclassici e accademici (H.K. Brown, C. Mills, Th. Ball, E.D. Palmer). Di
impostazione realistica è l'opera di J.Q.A. Ward, mentre W. Rimmer fu il
precursore del Naturalismo del XX sec. Dagli anni Trenta emersero le
personalità di W. Zorach, G. Lachaise, R. Laurent, J. Flannagan, J.
Storr, fautori di una monumentalità semplificata delle forme. Ascrivibili
all'ambito dell'Espressionismo astratto sono le opere di T. Roszac e I. Lassaw.
La
pop art determinò il superamento della distinzione netta tra
pittura e scultura, come si evince dal percorso creativo di artisti quali E.
Kienholtz, J. Chamberlain e G. Segal, antesignano dell'Iperrealismo di D. Hanson
e J. De Andrea. Nel solco della tradizione propriamente scultorea si inseriscono
artisti come L. Nevelson, L. Bourgeois e A. Calder il quale, con i suoi
mobiles e i suoi
stabiles, è considerato un maestro
dell'arte moderna.
MUSICA
Per molto tempo il rigorismo religioso dei
colonizzatori inglesi impedì ogni sviluppo all'espressione musicale. Il
primo concerto pubblico di musica profana fu organizzato nel 1731 a Boston, dove
nel 1754 fu aperta una sala da concerti. Le prime città ad accogliere
eventi musicali di una certa importanza furono Filadelfia, New York (il primo
concerto vi si tenne nel 1736) e Charleston. Qui fu rappresentata nel 1755 la
prima opera teatrale americana,
Flora or hob in the well. Tra i primi
compositori statunitensi che ebbero pubblicate le proprie opere figurano F.
Hopkinson, J. Lyon, J. Anter, W. Billings (il quale nel 1770 pubblicò un
New England psalm singer e varie raccolte vocali) e il bostoniano W.
Selby. La produzione musicale propriamente statunitense consistette, oltre che
in inni e salmi religiosi, in canti patriottici tuttora molto popolari
(
Star-spangled banner, del 1814, è diventato l'inno nazionale
degli
S.); mentre altre forme musicali furono importate dall'Europa
insieme a cantanti, concertisti, compositori che all'inizio del secolo
affluirono numerosissimi per animare le società musicali che si andavano
costituendo in tutto il Paese. Nel 1845 fu rappresentata l'opera
Leonora,
dello statunitense W.H. Fry, e nel 1855
Rip Van Winkle (su soggetto
originale americano) di G.F. Bristow. Nelle composizioni di L.M. Gottschalk,
poi, si manifestò già quella tendenza ad attingere alle esperienze
musicali negroamericane, che sarà esplicitata con maggiore consapevolezza
da musicisti come G. Gershwin, F. Grofé e P. Whiteman, fino alle
avanguardie contemporanee. Dalla seconda metà del XIX sec. furono fondate
numerose orchestre nelle maggiori città americane (New York, Boston,
Chicago, Cincinnati, Los Angeles) e la pratica musicale fu favorita
dall'istituzione di scuole e cattedre universitarie. Quella istituita ad Harvard
fu occupata da J.K. Payne, formatosi in Germania, maestro e ispiratore del
cosiddetto gruppo di Boston; all'università di Yale insegnò invece
G.W. Chadwick, direttore del New England Conservatory di Boston e autore, tra
l'altro, dell'opera verista
The Padrone (1912). Da citare anche E. Nevin,
celebre autore di romanze, e E. MacDowell, artista eclettico, sensibile ai temi
del folclore americano. Nella prima metà del XX sec. si affermarono i
talenti musicali di H.F.B. Gilbert, allievo di MacDowell, e C.E. Ives, entrambi
capaci di elaborare in maniera originale il patrimonio della musica popolare
statunitense. Tra i compositori appartenenti alle generazioni successive
è viva la tendenza alla ricerca di uno stile musicale nazionale:
così è per V. Thomson e A. Copland, che attinsero al jazz e al
folclore. Di fondamentale importanza è l'opera di G. Gershwin,
caratterizzata da un felice amalgama tra jazz, musica popolare e musica colta
europea. L'esperienza della scuola di Vienna ebbe vaste ripercussioni nel mondo
musicale statunitense, influenzato anche dall'opera di E. Varèse,
trasferitosi negli
S. dalla Francia nel 1915. Alla sperimentazione di
nuovi mezzi espressivi si indirizzarono M.B. Babbitt, J. Cage (punto di
riferimento delle avanguardie statunitensi), E. Brown, M. Feldman, la ricerca
musicale dei quali sondò le possibilità di elaborazione sonora di
sintetizzatori e apparecchiature elettroniche. A partire dagli anni Sessanta si
affermò la tendenza compositiva nota come
minimal music, basata
sulla variazione minimale di cellule ritmico-melodiche. Esponenti di questo
movimento furono La Monte Young, T. Riley, S. Reich, P. Glass. Notevole, anche
per l'opera di divulgazione musicale svolta, fu L. Bernstein, direttore
d'orchestra e autore di fortunate commedie musicali. Nel corso del XX sec.
proseguì quel fecondo processo di contaminazione tra musica colta europea
e le più autentiche espressioni nazionali come il jazz, il
ragtime
e il
blues, nati per accompagnare la danza e diventati, negli anni
Trenta, generi di successo grazie soprattutto alle grandi orchestre bianche. Con
alcuni grandi jazzisti del periodo classico, come B. Beiderbecke, D. Ellington,
B. Goodman e W. Herman (per il quale Stravinskij scrisse, nel 1946, il suo
Ebony concerto), si realizzò di fatto il superamento dello
steccato che, nella musica europea, separava la musica d'arte da quella di
consumo. Parallelamente, la
pop music, che sino dall'Ottocento aveva
prodotto un repertorio di canzoni popolari, a partire dagli anni Sessanta diede
origine a forme di ibridazione tra folk, musica classica, jazz e rock,
confermando la vocazione della musica statunitense a mescolare intrattenimento e
ricerca. Oggi, jazz e pop sono stabilmente entrati nelle istituzioni musicali
statunitensi, avendo codificato propri sistemi didattici e fondato le proprie
scuole. A ciò reagiscono, ciclicamente, fenomeni musicali di rottura,
quali sono stati il
punk alla fine degli anni Settanta e, negli anni
Ottanta-Novanta, il
rap e la musica
techno, che utilizza la
tecnica di campionamento digitale dei suoni.
New York: Midtown Manhattan con il Queensboro Bridge sull'East River
New York: veduta aerea
Il Grand Canyon in Arizona
Panorama di Miami
Baltimora: veduta dalla baia di Chesapeake
Panorama di San Francisco
Il Golden Gate a San Francisco
Il “loop” di Chicago
Las Vegas: il Caesar Palace
Le Vieux Carré a New Orleans
Panorama di Boston