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Stati Uniti d'Amèrica.

Repubblica federale (9.372.614 kmq; 296.414.000 ab.) dell'America settentrionale. Confina a Nord con il Canada, a Est con l'Oceano Atlantico, a Sud con il Messico, affacciandosi anche sul golfo omonimo, e a Ovest con l'Oceano Pacifico. Dal 1959 comprende anche gli Stati non contigui dell'Alaska (V.) e delle Hawaii (V.). Capitale: Washington. Città principali: Chicago, Dallas, Filadelfia, Las Vegas, Los Angeles, New York, San Francisco. Ordinamento: Repubblica federale, costituita da 50 Stati e dal Distretto Federale della capitale, District of Columbia. Un'Assemblea di “grandi elettori”, eletta da un corpo elettorale, vota ogni quattro anni il presidente (il mandato è rinnovabile una sola volta), insieme a un vicepresidente, che gli succede in caso di morte, di dimissioni o di inabilità. Al presidente spetta il potere esecutivo, che esercita con l'ausilio di un Gabinetto presidenziale, composto dai capi di dipartimento da lui nominati e verso di lui responsabili; ha la facoltà di presentare leggi e può esercitare su quelle proposte dal Congresso il diritto di veto. Prepara il bilancio finanziario e propone annualmente un programma politico; è il comandante supremo delle Forze Armate e, coadiuvato dal segretario di Stato (ministro degli Esteri) e dietro approvazione del Senato, dirige la politica estera del Paese. Il potere legislativo spetta al Senato (100 membri) e alla Camera dei rappresentanti (435 membri), che insieme formano il Congresso e che vengono eletti a suffragio universale diretto e in numero proporzionale alla popolazione dei singoli Stati (ogni Stato ha due senatori e almeno un rappresentante). Il potere giudiziario spetta alla Corte Suprema e ai Tribunali federali. L'ordinamento dei singoli Stati è così strutturato: ciascuno ha una propria Costituzione e un proprio Congresso, formato da due Camere, cui spetta il potere legislativo; il governatore, eletto nella maggioranza dei casi a suffragio universale diretto, svolge a livello locale le stesse funzioni del presidente. Dagli S. dipendono, in varia maniera: la baia di Guantánamo, le Isole Vergini Americane e Puerto Rico (nell'America Centrale); l'Isola di Guam, le Marianne Settentrionali, le Isole Midway, le Samoa americane e altri piccoli territori insulari (nel Pacifico); è considerato statunitense pure quel settore dell'Antartide compreso tra il Territorio Antartico Britannico e la dipendenza neozelandese di Ross. Moneta: dollaro USA. Lingua: inglese. Religioni: protestante (58%) e cattolica (21%); esistono minoranze ebraiche e musulmane. Popolazione: è composta da bianchi (80%), neri (12%), Messicani (5,4%), Amerindi (0,8%), Cinesi (0,7%), Filippini (0,6%), Giapponesi (0,3%).

GEOGRAFIA

Geologia e morfologia: muovendo da Nord, le coste atlantiche sono alte e frastagliate da profonde insenature, spesso notevolmente ramificate (penisola di Capo Cod, estuario del fiume Hudson, dove si sviluppa New York, baia del Delaware e di Chesapeake, dove sbocca il Potomac e sorge Washington) fino a Capo Hatteras, a Sud del quale diventano basse e orlate da un cordone di dune sabbiose e da vaste lagune. La foce del fiume Savannah, ove si trova la città omonima, spezza la continuità; scendendo verso Sud la fascia costiera pianeggiante si amplia nella bassa penisola della Florida, la cui recente copertura di sedimenti argillosi ha generato i caratteristici everglades, aree paludose di notevole interesse naturalistico. La penisola prosegue verso Sud con una frangia di isolette coralline (Florida Keys), mentre la monotonia della costa del golfo del Messico, piatta e paludosa, è interrotta dall'ampio delta del Mississippi. Procedendo verso l'interno, la grande estensione pianeggiante è delimitata dalla cosiddetta “linea delle cascate” (falls line), oltre la quale un ampio falsopiano si innalza progressivamente fino alla dorsale dei Monti Appalachi, strutturata in diverse catene parallele e orientata, come le altre fasce orografiche maggiori, in senso longitudinale. Tale sistema di origine molto antica (inizio del Paleozoico) è stato interessato da un sollevamento più recente, ercinico, che ne ha addolcito le forme, cosicché la massima elevazione, il Monte Mitchell, nelle Blue Ridge Mountains, è modesta (2.037 m); più a Sud la catena digrada verso la costa con un penepiano e verso l'interno con altopiani prodotti da erosione e denominati Cumberland Plateau. Continuando verso Ovest, fra il sistema appalachiano e quello delle Montagne Rocciose, si allarga la vastissima regione delle Grandi Pianure, solcata dai fiumi discendenti dagli Appalachi, che confluiscono poi nel Mississippi. Scendendo verso il golfo del Messico, si incontra una regione di dolci colline moreniche e le uniche elevazioni sono quelle dei Monti Ozark e Ouachita; a Sud, il territorio piatto e uniforme, con fertili suoli alluvionali, coincide con il bacino del Mississippi, fino a raggiungere la costa bassa e sabbiosa, interrotta solo dall'ampio delta del fiume. A Nord, sulla destra orografica del Mississippi, nel territorio solcato dal Missouri, le badlands, inospitali aree aride, modellate da una forte erosione in solchi, creste e torrioni e altre forme tormentate, si arrestano contro la barriera delle Montagne Rocciose, di origine terziaria, ma interessate anche da più recenti sollevamenti dell'era meso-cenozoica. Strutturate in un complesso sistema di dorsali e rilievi e in una serie intricata di catene (i cosiddetti ranges), con cime che raggiungono i 4.200 m, le Montagne Rocciose si innalzano bruscamente con una bastionata fortemente inclinata. Più compatte nella sezione meridionale (Front Range, Sangre de Cristo), si fanno più disordinate e basse al centro (Monti Laramie, Big Horn, Absaroka e Wasatch, con l'altopiano del Wyoming, circondato da una serie di catene minori). Le zone più elevate, ricoperte da nevi perenni, coincidono con affioramenti del basamento granitico continentale (caratteristico l'Half Dome nella zona del Teton Range); gli estesi altopiani centrali, invece, corrispondono a blocchi fratturati dello stesso e a falde di sovrascorrimento. Verso Occidente i rilievi si addolciscono in una regione molto ampia, divisa dalla Catena dei Wasatch in altopiano del Colorado a Sud-Est e Gran Bacino a Nord-Ovest. Il paesaggio arido e desertico del primo presenta rocce colorate e aspetti di stupefacente bellezza; si estende per più di 500.000 kmq ed è caratterizzato da terrazzi tabulari di rocce stratificate, in cui l'azione delle acque ha scavato solchi profondi, che precipitano in corrispondenza del corso principale del fiume Colorado: questo ha creato il Grand Canyon, che sprofonda per 1.800 m. Procedendo verso la costa del Pacifico, si incontrano i deserti dell'Arizona e del Nevada, coperti di sedimenti salini. Nel Gran Bacino, invece, si aprono laghi, salmastri a causa dell'intensa evaporazione: tra questi, il Gran Lago Salato, il Lago Utah e altri minori, e depressioni periodicamente ricoperte d'acqua. Tutta la regione è estremamente arida e modellata dall'erosione eolica. Profondissima la Death Valley, sul cui fondo stagnano acque ad alta concentrazione salina, che scende fino a 86 m sotto il livello del mare. Nel settore settentrionale un'attività vulcanica, tuttora in corso con fenomeni secondari, quali i geyser del parco di Yellowstone, ha creato una copertura di rocce laviche, che sconfina poi nell'altopiano del Columbia, modestamente elevato, inciso da gole profonde e limitato a Est dai Monti Bitterroot. A Ovest dei grandi altopiani si ergono catene poderose: la Catena delle Cascate, presso il confine con il Canada, e la Sierra Nevada a Sud. Le cime maggiori superano i 4.000 m (i 4.418 m. del Monte Whitney rappresentano la massima elevazione degli S., fatta esclusione per le cime nel territorio dell'Alaska), sono coperte da fitte foreste di conifere e da nevi eterne e rappresentano un'importante riserva idrica per i territori interni. Parallela alla costa corre la Catena Costiera, non molto elevata e formatasi durante il corrugamento alpino: a riprova dell'origine recente, i continui fenomeni sismici di assestamento. I Monti Klamath saldano questa catena a quella delle Cascate, mentre una profonda depressione, la Great Valley, solcata e scavata dalle acque del Sacramento e del San Joaquin, la separa dalla Sierra Nevada. ║ Idrografia: fatta eccezione per il San Lorenzo, che nasce dai Grandi Laghi e scorre in senso trasversale rispetto ai meridiani, i grandi fiumi statunitensi hanno un andamento longitudinale, diretto da Nord a Sud. I fiumi che sboccano nell'Atlantico scendendo dagli Appalachi (Connecticut, Hudson, Delaware, Susquehanna, Potomac, Savannah), sono interrotti da cascate e rapide, specie in corrispondenza della falls line, e pertanto vengono sfruttati a scopo idroelettrico; il maggior sistema fluviale del Nord America, il bacino del Mississippi-Missouri, raccoglie le acque dei fiumi delle Grandi Pianure centrali per sfociare poi nel golfo del Messico in un caratteristico delta digitato e molto esteso; solo l'Alabama scorre direttamente verso Sud e sbocca poche centinaia di chilometri più a Est. Gli affluenti di sinistra del Mississippi discendono dai Monti Appalachi (Ohio, Kentucky, Tennessee); quelli di destra dalle Montagne Rocciose: il maggiore è il Missouri, che, ricco delle acque del Platte, il fiume principale del Wyoming e del Nebraska, confluisce nel Mississippi poco a Nord di Saint Louis, dopo aver percorso oltre 4.000 km, quindi più di quanti ne percorra, dalle sorgenti alla foce, il Mississippi stesso, che però resta il fiume maggiore per la portata nettamente superiore e il regime costante. Il suo corso ha un'ampiezza compresa, nei vari punti, tra 1 e 3 km e, scorrendo su terreno pianeggiante, ha poca forza erosiva. A Ovest del delta del Mississippi, il golfo del Messico riceve il Sabine, il Trinity e il Brazos. Anche le acque della sezione meridionale delle Montagne Rocciose sfociano nel grande golfo, essendo confluite nel Pecos e nel Rio Grande, che nel tratto inferiore prende il nome di Rio Bravo e segna il confine con il Messico. I due soli sbocchi al mare della vasta regione dei bacini interni sono il Colorado, che si getta nel golfo di California, quindi fuori dal territorio statunitense, e il Columbia che, raccolte le acque dello Snake, sfocia a Nord, nel Pacifico. Pochi gli altri fiumi che tagliano questa costa: il Klamath e, più a Sud, il Sacramento e il San Joaquin, che si uniscono prima di sfociare nella baia di San Francisco. Numerosi corsi d'acqua minori non riescono a raggiungere l'oceano e si perdono all'interno, evaporando a causa della grande secchezza del clima. Notevoli i bacini lacustri del territorio statunitense: nel settore occidentale, il Gran Lago Salato, che è quanto resta di un antico bacino ben più vasto; a Nord, i Grandi Laghi, scavati dalla grande calotta glaciale quaternaria e tagliati longitudinalmente dal confine con il Canada: i più estesi sono il Michigan, l'Huron, l'Eire, l'Ontario e il Lago Superiore e di questi solo il primo appartiene interamente agli S.Clima: nonostante i due oceani, che bagnano gli S. a Est e a Ovest, il clima è di tipo continentale e determinato, più che dalla fascia delle medie latitudini in cui il vasto territorio si trova, dalla dislocazione dei rilievi e dall'influsso delle correnti marine costiere. L'afflusso delle masse d'aria oceaniche provenienti dal Pacifico è contenuto dalla poderosa barriera che le Montagne Rocciose oppongono: solo la zona costiera ha un clima mite, addolcito anche dalle correnti marine provenienti dal Giappone, e l'umidità non riesce a superare lo spartiacque, oltre il quale domina un'aridità desertica. Invece l'afflusso di aria umida proveniente dall'Atlantico supera agevolmente la catena dei Monti Appalachi e comunque le precipitazioni, accentuate presso la costa, decrescono progressivamente verso l'interno (600 mm annui nella valle del Mississippi). Anche le temperature dipendono più dalla circolazione d'aria connessa alle correnti marine e alla distribuzione delle catene montuose, che non dalle latitudini: l'influsso mitigatore dell'Atlantico è più sensibile a Sud di Capo Hatteras, dove si fa sentire la benefica influenza della corrente del Golfo e la temperatura media si innalza gradatamente (a Savannah si raggiungono i 10 °C in gennaio, senza superare i 28 °C in luglio), fino ad assumere caratteristiche subtropicali e, in Florida, tropicali. La sezione settentrionale della costa atlantica, invece, interessata dall'afflusso di aria fredda prodotto dalla corrente del Labrador, ha inverni rigidi, con temperature inferiori a 0 °C, estati calde (oltre 25 °C) e piovosità abbondante. Alle medesime latitudini, sulla costa pacifica, si verificano condizioni climatiche ed escursioni termiche stagionali differenti: a Los Angeles, si passa dai 13 °C in gennaio ai 22 °C di luglio, mentre a Seattle, nel Nord, i valori corrispondenti sono di 5 e 18 °C. Al centro degli S., la regione delle Grandi Pianure è soggetta alla circolazione atmosferica, non ostacolata da alcuna catena montuosa: le dolci colline moreniche del Nord non oppongono alcuna resistenza all'aria gelida che può spingersi fino a latitudini tropicali, mentre l'influsso dei Tropici scatena potenti tifoni nella regione costiera del golfo del Messico, specie verso la fine della stagione estiva. In questa vasta regione centrale pianeggiante le medie estive sono ovunque alte, mentre d'inverno le temperature del settore centro-settentrionale sono notevolmente più basse, rispetto a quelle della costa del golfo, e presso il confine con il Canada le medie di gennaio toccano frequentemente i -15 °C. La regione delle Montagne Rocciose ha chiaramente un clima montano, con forti escursioni stagionali e precipitazioni più accentuate rispetto alla zona delle Pianure. Tuttavia nei bacini interni, dove la temperatura estiva è elevatissima (Death Valley: massima 58 °C) l'aridità raggiunge valori molto alti. ║ Vegetazione: alla grande differenziazione climatica degli S. corrisponde una grande varietà nella vegetazione. La fascia costiera atlantica, caratterizzata da dune sabbiose che racchiudono vaste lagune, è prevalentemente agricola e coltivata a granturco, tabacco e frutta; scendendo verso la Florida il clima caldo-umido di tipo tropicale favorisce una vegetazione lussureggiante e la coltura di agrumi. Lungo il golfo del Messico la vegetazione tropicale lascia via via spazio a una flora xerofila, mentre muovendo verso l'interno, fino alla valle dell'Ohio, predominano estese praterie di graminacee. La regione dei Monti Appalachi, ricca d'acqua, è caratterizzata da un manto di latifoglie, soprattutto faggi, betulle e querce, che diventa di conifere procedendo verso Nord (Maine), oltre la latitudine di Washington. Nel New England dominano le foreste di caducifoglie. Traversate le vaste praterie interne, si raggiunge la zona delle Montagne Rocciose, dove la vegetazione è costituita da conifere a Nord (la copertura è totale nel bacino del Columbia), da latifoglie al centro e al Sud; oltre i 3.000 m prevalgono le praterie di alta montagna. I bacini interni, caratterizzati da una forte siccità, hanno un aspetto desertico e le piante che riescono a viverci sono, di norma, quelle xerofile, in particolare artemisia, yucca e cactus. Dove l'aridità è minore, crescono i pini. Il clima decisamente alpino della Sierra Nevada e della Catena delle Cascate comporta la massiccia presenza di conifere, una risorsa preziosa che i parchi nazionali preservano accuratamente. La Catena Costiera riceve, nel versante occidentale, i venti umidi provenienti dal Pacifico ed è interessata da abbondanti precipitazioni che conferiscono alla folta vegetazione di conifere un aspetto particolarmente lussureggiante: caratteristici il pino Douglas e la sequoia. Se si eccettuano le catene montuose e la fascia costiera pianeggiante, con un clima umido e tiepido e adibita a colture mediterranee, l'Ovest degli S. ha una vegetazione prevalentemente steppica: scendendo verso Sud, presso il confine con il Messico, il caldo secco aumenta e lascia spazio alle sole piante xerofile e alle cactacee (V. anche AMERICA). ║ Fauna: V. AMERICA.
Cartina degli Stati Uniti d'America


ECONOMIA


Particolari condizioni geografiche (l'ampiezza della zona fertile, la ricchezza delle risorse minerarie, ormai quasi completamente conosciute) e storiche (lo straordinario afflusso, a partire dal XVII sec., di centinaia di milioni di persone che, animate da spirito pionieristico, hanno popolato territori sempre nuovi, conquistando nuove risorse e favorendo lo sviluppo delle forze produttive) hanno contribuito alla crescita economica degli S. che, in seguito allo smembramento dell'Unione Sovietica all'inizio degli anni Novanta, sono la principale superpotenza economica della storia contemporanea. Essi figurano al primo posto nel mondo per la produzione agricola industriale, mineraria, energetica e per il valore del prodotto nazionale lordo. ║ Agricoltura: il settore agricolo è straordinariamente sviluppato, grazie agli investimenti fatti dallo Stato nella ricerca, che hanno permesso ai coltivatori di sfruttare al meglio il terreno a loro disposizione, anche, negli ultimi anni, con l'uso di piante modificate geneticamente. Basilari in questo senso, lo studio del suolo, delle caratteristiche climatiche, unitamente a un grande impiego di mezzi meccanici e alla possibilità di trattare vaste zone con anticrittogamici e fertilizzanti (che vengono diffusi con aerei ed elicotteri), procedimento poi esteso anche altrove. La differenziazione dei prodotti, strettamente connessa alle varietà climatiche, alla metà del XX sec. si organizzò in fasce (belt), che derivarono il nome dalla coltura predominante: corn (mais) belt tra i Grandi Laghi e gli Appalachi, wheat (frumento) belt, dagli Appalachi verso il Mississippi e verso il confine canadese, cotton belt negli Stati del Sud, ecc. In seguito, assumendo il mercato dimensioni mondiali, tali fasce si andarono via via confondendo; con lo scopo di mantenere elevati i prezzi, si programmò la riduzione di alcune produzioni, fra cui, ad esempio, quella del frumento, mentre nel corn belt il mais cedette alla soia. Attualmente, i circa 2 milioni di aziende agricole hanno un'estensione media di 150 ettari, ma la maggior parte sono piccole, non superiori ai 75 ettari. Alla conduzione diretta si affiancano una gestione agricola part-time e il largo impiego di braccianti immigrati clandestinamente dal Messico (braceros), specie nelle zone a coltura ortofrutticola, dove la richiesta di manodopera stagionale è più sensibile. La coltura del mais, la cui produzione è destinata principalmente al foraggio, interessa la maggior parte del territorio agricolo; quella del frumento riguarda in special modo il bacino del Mississippi: la metà del prodotto totale viene esportata, fatto che pone il Paese in posizione strategica nel mercato mondiale. Pure i cereali secondari, orzo, avena e sorgo, prodotti per uso animale, sono molto diffusi, laddove la produzione di riso è, se si esclude l'Asia, seconda solo a quella brasiliana. Patate, barbabietole da zucchero, colza e girasole sono diffusi un po' ovunque, mentre le regioni più calde del Sud (California, Arizona, Texas e Nuovo Messico) sono interessate da colture subtropicali, quali arachidi, agrumi, soia, cotone e tabacco. Le Hawaii coltivano intensamente l'ananas. La vinicoltura californiana è superata solo da quella dei Paesi mediterranei. Infine, dalle zone montuose si ricavano enormi quantità di legname, quasi un terzo dell'intera produzione mondiale di cellulosa e carta da giornale. ║ Allevamento: il patrimonio zootecnico statunitense, ricchissimo, è costituito soprattutto da bovini e suini e consente un'alimentazione in prevalenza proteica, integrata dai prodotti ovini della zona dei Grandi Laghi, e da quelli anch'essi abbondanti, della pesca che, al quinto posto mondiale per la quantità di pescato, dispone di porti ben attrezzati: San Pedro (California), Cameron e Dulac (Louisiana), Pascagoula (Mississippi). Il bestiame bovino viene allevato in stalle nelle zone orientali (fino agli anni Cinquanta a ridosso del corn belt, che forniva il mais per il mangime, nel cosiddetto dairy belt, in cui si sviluppavano le attività lattiero-casearie) e all'aperto, allo stato brado, nelle grandi distese dell'Ovest; qui i cowboys sono tuttora molto numerosi e dispongono di un decimo dei cavalli del mondo. ║ Risorse minerarie ed energetiche: le risorse minerarie sono ingentissime e, a differenza di quanto accade in altri Paesi, oggi quasi completamente conosciute e sfruttate con parsimonia, così da ritardarne l'esaurimento. Infatti le maggiori compagnie estrattive impegnate nel mondo sono statunitensi, il che permette al Paese di importare le materie prime a costi limitati. Quale rovescio della medaglia, si registrò una crisi occupazionale in diverse regioni, fra cui quella carbonifera degli Appalachi. Il patrimonio nazionale vanta notevoli giacimenti di ferro, specie presso il Lago Superiore, e il primato mondiale per il molibdeno e per il magnesio. Platino, vanadio, antimonio e cadmio sono pure presenti in grandissima quantità; gli S. sono secondi produttori mondiali di oro e argento (Mountain, Alaska), rame (Mountain, Utah) e piombo (Missouri, Idaho, Mountain). Minori, invece, i giacimenti di manganese, tungsteno e bauxite. Notevole pure la ricchezza dei minerali non metallici: salgemma, fluorite, zolfo, talco, mica, caolino e fosfati. Il settore energetico dispone di cospicui giacimenti che, tuttavia, negli ultimi anni, sono meno sfruttati, al fine di evitarne l'esaurimento. La quasi totalità dell'estrazione petrolifera si concentra in Texas, Alaska, California e Louisiana; nuovi giacimenti si cercano nei fondali oceanici del Pacifico, lungo il confine con il Canada e nelle Montagne Rocciose. Inoltre, gli S. occupano la seconda posizione mondiale nella produzione di gas naturale, che proviene dal Texas e dalla Louisiana. Le zone produttrici sono collegate con le raffinerie e con i centri di consumo da una rete particolarmente fitta di oleodotti e di gasdotti. L'aumento del prezzo del petrolio d'importazione comportò un aumento della produzione di carbone, estratto dalle Montagne Rocciose e dal settore occidentale degli Appalachi, con cui il Paese si pone al secondo posto nel panorama mondiale. La produzione complessiva di energia elettrica è pari a un quarto dell'elettricità mondiale. Quanto alla produzione di energia nucleare, gli S. occupano, invece, il terzo posto, grazie all'ingente importazione di materiali radioattivi. Attivi nella sperimentazione e nella produzione di energie alternative, gli S. dispongono di numerosi impianti eolici, geotermici e idrici: a questo proposito i lavori per lo sfruttamento dell'energia idroelettrica, che negli anni Trenta si erano concentrati nel bacino del Tennessee, si estendono oggi nel Nord-Ovest, verso il confine con il Canada. ║ Industria: caratteristico dell'economia statunitense è il recente processo di rilocalizzazione per cui le imprese spostano la produzione materiale verso Paesi del Terzo Mondo, approfittando della manodopera a basso costo e determinando un aumento della disoccupazione interna. Da principio furono interessate soprattutto le industrie siderurgiche e in genere di raffinazione dei metalli, senza che per questo la metallurgia all'interno del Paese regredisse (Pittsburgh resta un centro di importanza mondiale), poi via via quelle del settore automobilistico e tessile. Anche in campo automobilistico, comunque, il complesso produttivo interno detiene il primato mondiale e Detroit ne è il centro principale, con General Motors e Ford, mentre ad Akron si concentra la produzione di pneumatici. Entrambe le città si trovano nel cosiddetto manufacturing belt (fascia manifatturiera), fin dalle origini la zona più industrializzata del Paese, estesa dal settore settentrionale della costa atlantica all'alto corso del Mississippi e limitata a Nord dai Grandi Laghi e a Sud dal bacino dell'Ohio. Sede delle maggiori industrie pesanti (cantieristica, materiale ferroviario, macchine utensili e chimica di base, settore in cui gli S. detengono un primato notevole, producendo più di un terzo degli acidi e delle basi principali), il manufacturing belt, nella prima metà del XX sec., si aprì anche all'industria leggera (farmaceutica, fotografica, dell'abbigliamento, degli elettrodomestici, ecc.). L'industria tessile, divisa originariamente nei due settori principali della lana al Nord e del cotone (il cotton belt) al Sud, in concomitanza con la sostituzione delle fibre naturali con quelle sintetiche tratte dal metano e dall'etilene, si spostò progressivamente verso il golfo del Messico, dove la produzione di idrocarburi necessaria alla produzione delle nuove fibre è più elevata. Del resto anche la dislocazione delle industrie di altri settori è strettamente connessa alla disponibilità di energia e di risorse minerarie: quelle chimiche e metallurgiche, dipendenti da energia idroelettrica e termica, dalla regione appalachiana si spostarono alla regione bagnata dagli affluenti di destra del Mississippi e infine sul golfo del Messico. Qui, dall'inizio del XX secolo, si concentrò l'industria petrolchimica, mentre i cantieri navali, prima collocati principalmente nel Nord della costa atlantica, e poi intorno al golfo, si vanno progressivamente sviluppando lungo la costa pacifica, grazie alle ingenti risorse termoelettriche della California e idroelettriche del Nord; anche l'industria aeronautica, che ricevette particolare impulso in concomitanza del secondo conflitto mondiale e poi con la guerra di Corea, ha i suoi centri maggiori sulla costa occidentale. La costa del Pacifico è dunque una zona di sviluppo più recente, fatto questo che ha favorito le attività di ricerca e di studio: la Silicon Valley, in California, specializzata nella progettazione e produzione di microcircuiti al silicio, da cui il nome, vanta la maggiore (e la prima, in ordine cronologico) concentrazione mondiale di laboratori e industrie elettroniche, e pone gli S. in posizione di avanguardia nell'ambito della tecnologia avanzata, anche perché i tempi di realizzazione dei risultati conseguiti dalla ricerca scientifica sono sempre più brevi. L'esempio della Silicon Valley è stato poi ripreso e altri “parchi tecnologici” si svilupparono anche altrove: il Technology Triangle, nei pressi di Raleigh (Carolina del Nord) o il Technology Square, alla periferia di Boston. Il settore informatico gode di immensi finanziamenti statali e degli investimenti di molte imprese, in ciò sostenute dalla particolare legislazione fiscale. Della ricerca ha beneficiato, in particolare, l'apparato militare, ma negli ultimi tempi sono prevalsi gli investimenti nei settori relativi al pubblico. Nonostante il peso acquisito da alcune imprese giapponesi, gli S. detengono il predominio nella produzione di software, con case produttrici del calibro di Microsoft, IBM, Apple; il campo dell'elettromeccanica è dominato da General Electric; la Westinghouse primeggia in quello nucleare, mentre le telecomunicazioni sono interamente controllate da ITT, Bell e ATT. Oltre al settore tecnologico, l'industria è attiva in quello alimentare e si impone nel panorama mondiale con colossi quali Coca Cola, Pepsi Cola, Mars. Infine, un settore particolarmente attivo è quello connesso alla produzione agricola, che richiede fertilizzanti e macchinari per le diverse fasi, specie quella di lavorazione e commercio dei prodotti. Sebbene l'industria impieghi quasi un quinto della popolazione attiva, forti sono le sacche di disoccupazione e gli squilibri regionali, ad esempio nelle Grandi Pianure. Il Governo federale, ancora lontano dall'elaborare strategie d'intervento per risolvere queste discrepanze, riservò, invece, particolare attenzione alla fine del XIX sec. nei confronti dei monopoli, con la creazione di sistemi legali che ne impedissero la formazione. Di fatto, si costituirono oligopoli in alcuni settori, che impedirono, con elevate soglie economiche di entrata, l'affermarsi di nuovi gruppi. ║ Servizi e telecomunicazioni: con i suoi 280.000 km complessivi, determinanti, in passato, nel popolamento dell'Ovest, la rete ferroviaria è la più sviluppata del mondo ed è interamente affidata all'organizzazione privata. Estesissima è pure la rete stradale, con 6.250.000 km: caratteristiche le grandi strade extraurbane con tre o quattro corsie per ogni senso di marcia, e le arterie di scorrimento rapido che si spingono fino all'interno delle grandi città, con l'eccezione di New York, che è attraversata da 370 km di ferrovia metropolitana, sotterranea e sopraelevata. Dagli ultimi decenni del XX sec. si è intensificato il trasporto interno di passeggeri per via aerea, grazie a una sensibile diminuzione di prezzi. Gli aeroporti sono più di 7.000; tra gli scali maggiori: New York, Chicago, Los Angeles, Long Beach, Atlanta, Dallas, San Francisco. New York vanta anche il porto principale del Paese, seguito da quello di New Orleans e di Corpus Christi. Nella via fluviale interna San Lorenzo-Grandi Laghi si distingue Duluth, nel Minnesota, mentre Houston domina la linea Intra-Coastal, parallela al golfo del Messico. Nel campo dell'alimentazione, sono particolarmente sviluppate le catene di ristorazione, soprattutto di fast-food, mentre supermercati e ipermercati periferici vanno sostituendo i negozi cittadini. Infine, nel commercio internazionale, il Paese occupa un posto di rilievo per l'import-export, in concorrenza con il Giappone.

STORIA

L'epoca coloniale: sorto nei primi anni del XVII sec. con la fondazione della Virginia (1607), l'Impero coloniale inglese in Nord America si era col tempo esteso arrivando nel 1763 a comprendere, oltre al Canada e a un buon numero di isole caraibiche, i territori che andavano dal New Hampshire alla Georgia. Da un punto di vista economico-sociale, tra le varie colonie esistevano evidenti disomogeneità: così, mentre nel Nord, prosperavano il commercio atlantico e la pesca, al Centro era l'agricoltura cerealicola l'attività economica principale; nel Sud, infine, si erano sviluppate le grandi piantagioni in cui lavorava in regime di schiavitù un elevato numero di neri. Le colonie, da un punto di vista meramente formale, erano concessioni territoriali attribuite dal re d'Inghilterra ai privati affinché questi potessero sfruttarle economicamente ed erano, pertanto, a tutti gli effetti soggette alla sovranità della Corona; nei fatti, tuttavia, la madrepatria concedeva loro una larga autonomia politica, amministrativa e fiscale, bastando la regolamentazione degli scambi commerciali a garantire il perseguimento dei propri interessi. La politica fiscale inglese venne a mutare nel 1765, quando con lo Stamp Act fu istituita una tassa di bollo su giornali e documenti; le colonie, temendo per la propria autonomia, si opposero, ottenendo, infine, l'abolizione dell'imposta, ma suscitando preoccupazione a Londra. La situazione lentamente si deteriorò, portando nel 1775 ai primi scontri armati che, dopo l'approvazione della Dichiarazione d'indipendenza da parte del Congresso (4 luglio 1776), si trasformarono in guerra aperta. Il dominio dei mari e la disponibilità di un esercito organizzato permisero all'Inghilterra di avere, in un primo tempo, la meglio; ben presto, però, le difficoltà logistiche di operazioni belliche condotte lontano dalla madrepatria e l'isolamento diplomatico, unite alla riorganizzazione dell'esercito coloniale operata da George Washington, spostarono l'ago della bilancia verso gli Americani. Sconfitti una prima volta nel 1777 a Saratoga, gli Inglesi andarono incontro a una decisiva disfatta anni dopo a Yorktown (1781), accettando, nel 1783, l'indipendenza delle colonie. ║ Dall'indipendenza alla guerra civile: il problema circa l'opportunità di organizzare uno Stato centrale che coordinasse l'attività delle singole colonie (ciascuna costituita in Stato autonomo) fu risolto tra il 1787 e il 1788 con la ratifica della Costituzione e l'elezione di G. Washington a presidente degli S.: entravano a far parte degli S. 13 Stati (New Hampshire, Massachusetts, Connecticut, Rhode Island, New York, New Jersey, Pennsylvania, Maryland, Virginia, Delaware, Carolina del Nord, Carolina del Sud, Georgia), ciascuno dei quali conservava ampi poteri; a un presidente eletto a suffragio universale maschile era demandato il potere esecutivo, mentre quello legislativo era nelle mani di un Parlamento bicamerale. La presidenza di Th. Jefferson (1801-09) fu decisiva sotto molti aspetti: da un lato, essa indebolì le già limitate funzioni del Governo centrale, dall'altro diede inizio a un'attiva politica di espansione, acquistando nel 1803 da Napoleone la Louisiana, un territorio situato oltre il Mississippi e all'epoca in gran parte inesplorato che attrasse presto molti pionieri e sul quale tra il 1810 e il 1825 poterono sorgere nuovi Stati. L'espansione fu completata nel corso del secolo con le annessioni del Texas (1836) e dei territori del Nord-Ovest (primi anni Quaranta) e con la conquista del Sud-Ovest e della California a spese del Messico (1846-48), cosicché, a metà del secolo, gli S. si estendevano dall'Atlantico al Pacifico senza soluzione di continuità (sebbene le grandi pianure centrali e le Montagne Rocciose restassero in larga misura non colonizzate). Altre presidenze importanti furono quella di J. Monroe (1817-23), che proclamò il disinteresse di Washington per gli affari europei (la cosiddetta Dottrina Monroe) e quella di A. Jackson (1829-37), che introdusse il sistema dello spoils system per il reclutamento della burocrazia e soppresse la Banca degli S.; nessuno dei due né i presidenti che seguirono riuscirono, però, a risolvere le contraddizioni economico-sociali insite negli S. Tali contraddizioni, dovute essenzialmente all'esistenza di due differenti modelli di sviluppo, quello degli Stati del Nord (ove si era completata l'industrializzazione) e quello degli Stati del Sud (ove, invece, persisteva il sistema delle piantagioni e la schiavitù dei neri), esplosero verso la metà del secolo, allorché una gran parte dell'opinione pubblica del Nord e il neonato Partito repubblicano (1854) cominciarono a premere per l'abolizione della schiavitù dei neri. Quando, poi, il repubblicano A. Lincoln assunse la presidenza (marzo 1861), prefigurando in qualche modo una graduale abolizione della schiavitù, gli Stati del Sud diedero vita a una Confederazione autonoma con J. Davis presidente. Ne seguì una guerra civile (la cosiddetta guerra di Secessione) che si trascinò fino all'aprile 1865, ma che già dal 1863, dopo la conquista di Gettysburg e di Vicksburg da parte del generale U.S. Grant, si era nei fatti risolta a favore del Nord; tra il 1865 e il 1870 vi fu l'approvazione del XIII, XIV e XV emendamento, che abolivano la schiavitù e attribuivano diritti civili e politici ai neri. ║ Dalla ricostruzione alla prima guerra mondiale: la ricostruzione postbellica del Sud, alla quale non poté partecipare Lincoln, assassinato da un sudista dopo la cessazione delle ostilità, dovette fare i conti con la resistenza sudista (che si concretizzò nella creazione di organizzazioni estremiste, come, ad esempio, il Ku Klux Klan), che mirava a riconquistare ai bianchi il controllo degli affari interni del Sud. Nell'ultimo trentennio del XIX secolo, la società americana andò incontro a una progressiva integrazione e nazionalizzazione, mentre l'economia subì una crescente verticalizzazione, della quale fecero le spese soprattutto gli agricoltori, i nativi americani (privati dal 1887 dei diritti politici e chiusi dal 1890 nelle riserve) e il proletariato urbano. Quest'ultimo, composto per lo più da immigrati, a partire dagli anni Ottanta iniziò a organizzarsi in sindacati (tra i quali spiccava l'American Federation of Labor, fondata nel 1886), evitando, però, al contempo qualsiasi richiamo classista; fu così che il Socialist Party of America, sorto nel 1901 per iniziativa di E.V. Debs, non riuscì mai a porsi alla testa di lotte operaie per molti versi anche più violente e sanguinose di quelle europee. Le elezioni presidenziali del 1896, nelle quali venne eletto il repubblicano W. Mc Kinley, sembrarono sancire la vittoria del grande capitale, che in quegli anni, in effetti, ebbe la possibilità di ristrutturare l'economia statunitense in senso oligopolistico. Tuttavia, il ceto medio seppe riorganizzarsi e reagire efficacemente a questa linea di tendenza, ottenendo il varo di norme antitrust, l'introduzione di una legislazione sociale a protezione del lavoratore e l'istituzione, con l'approvazione nel 1912 del XVI emendamento, dell'elezione popolare diretta dei senatori. Al successo di queste istanze (risultati più evidenti di quel movimento politico e culturale che va sotto il nome di Progressismo) non furono certo estranee le presidenze di Th. Roosevelt prima e di T.W. Wilson poi, ai quali risale anche un notevole attivismo in politica estera. Roosevelt, divenuto presidente con la morte di Mc Kinley (1901) e confermato nella carica dalle elezioni del 1904, continuò la politica estera aggressiva inaugurata dal suo predecessore, che aveva portato all'attrazione di Cuba nell'orbita degli S. (guerra ispano-americana, 1898), all'occupazione di Puerto Rico e delle Filippine e all'annessione delle Hawaii (1900); di assoluto rilievo strategico fu la spregiudicata operazione diplomatico-militare da lui condotta nella provincia colombiana di Panama, a seguito della quale gli S. ottennero in concessione per 99 anni una striscia di terra su cui realizzare l'omonimo canale. Wilson giocò, invece, un ruolo decisivo per la vittoria delle forze dell'Intesa nella prima guerra mondiale, decretando il 6 aprile 1917 l'intervento degli S. nel conflitto, a seguito dell'intensificarsi della guerra sottomarina tedesca. Minor fortuna ebbe, al contrario, il progetto di Wilson di ricostruire la carta geografica europea sulla base dei principi di nazionalità e di autodeterminazione dei popoli, dal momento che la Conferenza di pace di Versailles del 1919 nei fatti non recepì i suoi Quattordici punti. La definitiva sconfitta politica di Wilson si consumò alle presidenziali del 1920, con la vittoria, nelle prime elezioni in cui poterono votare anche le donne, del repubblicano W.G. Harding. ║ Tra le due guerre mondiali: la società statunitense visse in quegli anni un'involuzione conservatrice che dapprima si concretizzò nella persecuzione dell'Industrial Workers of the World (un'organizzazione sindacale di tendenze anarchiche) e nella condanna a morte degli anarchici N. Sacco e B. Vanzetti (1921) e che, poi, caratterizzò un po' tutti gli anni Venti (si pensi al proibizionismo, al blocco dell'immigrazione, alla rinascita del Ku Klux Klan); ma questo fu anche un periodo di notevole sviluppo economico, evidente soprattutto nella macroscopica crescita dei consumi. Questo sviluppo, però, si arrestò bruscamente e inaspettatamente nell'ottobre del 1929 con il crollo della borsa di Wall Street; la crisi che ne seguì e che mise in ginocchio gli S. per alcuni anni trovò soluzione solo con l'avvento alla presidenza del democratico F.D. Roosevelt (1933); egli, infatti, facendo proprie le teorie economiche di J.M. Keynes, ruppe con l'approccio monetarista del suo predecessore, il repubblicano H.C. Hoover, e inaugurò una politica di deciso sostegno statale all'economia (il cosiddetto New Deal), che permise agli S. di superare la crisi. Roosevelt mantenne una maggior continuità con Hoover in politica estera, perseguendo disegni di espansione commerciale, seppur abbinandoli a scelte di non interferenza in aree storicamente condizionate da Washington (America Latina in particolare). Il suo internazionalismo fu, però, in gran parte mitigato dalle tendenze isolazioniste montanti presso l'opinione pubblica e recepite dal Congresso, che, infatti, tra il 1935 e il 1937, approvò tre Neutrality Acts. ║ La seconda guerra mondiale e la guerra fredda: fu così che, allo scoppio della seconda guerra mondiale, gli S. si assestarono su una linea di neutralità, che modificarono solo nel 1941, dapprima semplicemente appoggiando economicamente i nemici della Germania, quindi, dopo l'attacco giapponese a Pearl Harbor (7 dicembre 1941), intervenendo massicciamente nel conflitto. Due furono i fronti che videro impegnati gli S., uno in Europa e un altro nel Pacifico: in Europa, le truppe statunitensi, dopo essere sbarcate in Africa Settentrionale (novembre 1942) e in Italia (luglio 1943), sbarcarono anche in Normandia (V. NORMANDIA, sbarco in Normandia) (6 giugno 1944) e da lì iniziarono, sotto il comando del generale D.D. Eisenhower, l'attacco finale conclusosi nel maggio 1945 con la resa tedesca; nel Pacifico, invece, la guerra si caratterizzò come una lenta avanzata verso il Giappone che poté, però, aver termine solo con il lancio della bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki (agosto 1945). Accordi intervenuti in precedenza a Jalta (febbraio 1945) avevano intanto sancito nei fatti una spartizione del mondo in due grandi zone di influenza, una sovietica e l'altra statunitense, e avevano posto le premesse per la cosiddetta “guerra fredda”, che ebbe il suo momento più critico con la crisi di Berlino del 1949. Già dall'aprile 1945 era intanto divenuto presidente H.S. Truman, che si adoperò per la stabilizzazione dell'Europa e l'allineamento dei Governi sud-americani sulle posizioni di Washington (mentre, per converso, scarso successo ebbero le sue iniziative in Cina nel 1949 e in Corea nel 1950). Sul fronte interno, invece, si assistette a un rallentamento dello slancio riformatore e a una vera e propria caccia ai comunisti ispirata dal senatore J.R. Mc Carthy; tutto questo, però, non frenò la crescita economica e l'affermazione della cosiddetta “società dei consumi”. ║ Dagli anni Cinquanta agli anni Settanta: a Truman successe nel 1953 Eisenhower, il quale, se da un lato esasperò l'idea della “guerra fredda” come scontro di civiltà, dall'altro perseguì una politica di coesistenza pacifica con l'Unione Sovietica. Nel frattempo, iniziavano le grandi battaglie per i diritti civili, con la dichiarazione dell'incostituzionalità della segregazione razziale nelle scuole (1954) e con l'azione vigorosa e pacifica di un giovane pastore dell'Alabama, M.L. King, in favore della minoranza nera. Nel 1960, dopo che l'approvazione del XXII emendamento aveva impedito a Eisenhower di candidarsi per la terza volta, l'elezione alla presidenza del democratico J.F. Kennedy sembrò aprire una nuova stagione per gli S.: Kennedy, infatti, rafforzò la legislazione sociale, si impegnò (seppur non sempre con successo) nel campo dei diritti civili, optò per una politica estera che riconosceva la nascita nel Terzo Mondo di soggetti politici autonomi e che si traduceva in aiuti concreti in loro favore. I momenti più difficili della sua presidenza furono legati a Cuba, ove F. Castro, giunto nel 1959 al potere per mezzo di una rivoluzione popolare, di fronte all'ostilità statunitense si era avvicinato all'Unione Sovietica; se il tentativo di rovesciare con la forza il Governo castrista non ebbe successo (aprile 1961), soluzione positiva ebbe, invece, la “crisi dei missili” (ottobre 1962), con l'Unione Sovietica che acconsentì a smantellare i missili a medio raggio installati a Cuba. A Kennedy, assassinato in circostanze per molti versi oscure a Dallas il 23 novembre 1963, successe il vicepresidente L.B. Johnson (poi rieletto nel 1964), che tra il 1964 e il 1966, in un periodo di eccezionale rigoglio dell'economia, riuscì a far approvare alcune importanti leggi sui diritti civili, nonché una più avanzata legislazione per combattere la povertà; ciò, tuttavia, non attenuò le crescenti tensioni sociali, che si concretizzarono, all'interno della comunità nera, nell'affermazione di gruppi e leader non pacifisti (Malcom X, S. Carmichael) e che sfociarono nel 1968 nell'assassinio di King. Sempre in quell'anno fu ucciso R.F. Kennedy, che si stava avviando a ottenere la nomination democratica per le elezioni presidenziali, mentre, sul fronte esterno, la guerra del Vietnam (1965-75), nonostante la gran quantità di uomini e di mezzi inviati da Johnson a sostegno dei Sudvietnamiti, si risolse per gli S. in uno scacco militare e politico. Il repubblicano R.M. Nixon, presidente degli S. a partire dal 1969, comprese, allora, la necessità di un approccio più pragmatico e meno ideologico in politica estera, operando, pertanto, in direzione di una normalizzazione delle relazioni con la Cina (1972) e aprendo una nuova stagione nei rapporti con l'Unione Sovietica (del 1972 è il primo trattato sulla limitazione delle armi nucleari). Una cauta politica interna gli garantì la rielezione nel 1972, ma il suo secondo mandato, nel corso del quale fu accelerato il ritiro delle truppe statunitensi dal Vietnam, ebbe vita breve; nel 1973, infatti, venne alla luce il cosiddetto Watergate, un'operazione di spionaggio contro il Partito democratico di Washington cui Nixon non sembrò del tutto estraneo. Così, nell'agosto 1974, mentre il Congresso avviava la procedura di impeachment, Nixon preferì dimettersi lasciando la presidenza a G.R. Ford. Gli anni che seguirono, complice l'embargo petrolifero decretato dall'OPEC nell'autunno del 1973, furono anni difficili per gli S., la cui economia fu preda di un processo di stagflazione contro il quale né Ford né il suo successore, il democratico J. Carter, seppero elaborare misure efficaci. La presidenza di quest'ultimo fu, poi, segnata da alcuni incidenti in politica estera (primo fra tutti, nel 1980, l'occupazione dell'ambasciata statunitense a Teheran da parte dei rivoluzionari islamici) che finirono per offuscarne i successi, come gli accordi di pace tra Egitto e Israele firmati nel 1978 a Camp David, e che favorirono nel 1980 la riconquista della Casa Bianca da parte dei repubblicani con R.W. Reagan (poi rieletto nel 1984). ║ Dagli anni Ottanta agli anni Novanta: fautore di una politica economica di stampo liberista, in nome della quale ridusse la presenza dello Stato in economia e il peso delle imposte, Reagan condusse una spregiudicata politica estera, non esitando a intervenire nella crisi centro-americana (1980) e a invadere Grenada (1983); tuttavia, dopo l'avvento al potere in Unione Sovietica di M. Gorbaciov (1985), egli si adoperò con successo per porre definitivamente termine alla “guerra fredda”, arrivando alla stipula di un trattato per lo smantellamento dei missili a medio raggio (1987). Il suo successore, G.H.W. Bush ereditò l'attivismo reaganiano in politica estera, intervenendo militarmente a Panamá (1989) e promuovendo la guerra contro l'Iraq (1991) dopo l'invasione del Kuwait da parte dell'iracheno S. Hussein, ma non seppe risollevare un'economia in difficoltà né gestire le crescenti tensioni sociali; fu così che nel 1992 il democratico W.J. Clinton vinse le elezioni presidenziali, avviando una nuova stagione politica, finalizzata a far riacquistare competitività agli S. nel contesto di un'economia globalizzata. Nonostante la vittoria della Nuova Destra di N. Gringrich alle elezioni legislative di medio termine (1994) e l'affossamento di alcuni punti qualificanti del suo programma elettorale (quale, ad esempio, il progetto di fornire a tutti gli Statunitensi una copertura sanitaria), nel 1996 Clinton, forte dell'avvenuta ripresa economica, fu riconfermato alla Casa Bianca, sfuggendo anche nel 1998 al rischio di un impeachment per uno scandalo a sfondo sessuale. In politica estera, Clinton diede avvio al processo di pace tra Israeliani e Palestinesi (Washington, 13 settembre 1993, firma di Arafat e Rabin sull'accordo di pace), si impegnò per la fine della guerra nella ex Jugoslavia (accordi di Dayton, 1995) e promosse l'attacco NATO contro la Serbia colpevole di violazioni dei diritti umani nel Kosovo (1999) (V. anche REPUBBLICANO, partito repubblicano statunitense, e DEMOCRATICO, PARTITO). Gli ultimi mesi della sua presidenza dovettero registrare, però, un pesante insuccesso: si concluse infatti senza alcun risultato il vertice di Camp David, fra il primo ministro israeliano E. Barak e il leader palestinese Y. Arafat. Nel novembre 2000 si tennero le elezioni presidenziali che, dopo una controversa e contestata conta dei voti nello Stato della Florida, protrattasi per circa un mese, si conclusero con l'elezione del candidato repubblicano G.W. Bush, figlio dell'ex presidente Bush, a danno del democratico A. Gore. Fortemente conservatore, Bush interruppe la politica sociale di Clinton dando la preferenza all'iniziativa e all'assistenza privata in campo sanitario e scolastico. Decise inoltre di non ratificare gli accordi di Kyoto sull'ambiente, aprendo di fatto la strada a nuovi investimenti in ambito energetico tradizionale. Diede grande impulso alla ricerca scientifica genetica e sviluppò un piano di investimento in ambito difensivo, con la destinazione di ingenti somme di denaro pubblico nell'incremento dello scudo spaziale. Nel luglio 2001 si oppose alla sottoscrizione di un accordo internazionale sulla messa al bando di armi chimiche. L'11 settembre 2001 quattro aerei di linea vennero dirottati da un gruppo di terroristi suicidi: due velivoli si schiantarono sulle Torri Gemelle del World Trade Center di New York, uno precipitò su un'ala del Pentagono e un quarto cadde al suolo nei pressi di Pittsburgh. La responsabilità dell'attacco multiplo, nel quale perirono diverse migliaia di persone, venne imputata al miliardario saudita, rifugiato in Afghanistan, Osama Bin Laden (V. BIN LADEN, OSAMA), a capo di un'organizzazione internazionale denominata Al Qaeda (V. QAEDA, AL).
11 settembre 2001: le terribili sequenze dell’attacco terroristico contro il World Trade Center

Il Governo degli S., con il supporto della NATO e di una coalizione di Stati alleati contro il terrorismo, fece pressione sul Governo afghano dei Talebani (V.) affinché consegnasse loro Bin Laden. A un netto rifiuto da parte afghana, il 7 ottobre gli S., appoggiati dall'Ue e dai Paesi arabi moderati, diedero avvio ai bombardamenti sull'Afghanistan (con l'operazione militare denominata "Libertà duratura"), dapprima circoscritti a obiettivi strategici, poi coinvolgenti anche parte della popolazione civile. Da novembre i raid aerei furono affiancati dall'intervento di terra dei marines, sostenuti nelle loro azioni dall'Alleanza del Nord, l'unica forza rimasta in Afghanistan a combattere contro i Talebani. Parallelamente ai bombardamenti, gli S. e gli Stati occidentali intrapresero una guerra finanziaria al terrorismo: cercarono di scoprire e bloccare i conti sui quali si muovono i grandi capitali di Bin Laden e dei finanziatori del terrorismo internazionale. Contemporaneamente Bush dovette arginare il cosiddetto "allarme carbonchio": decine di buste contenenti polvere infetta vennero recapitate a personalità del mondo giornalistico e politico, provocando la morte di alcune di esse. Non fu chiara la matrice della nuova forma di terrorismo biologico. Il 26 ottobre Bush firmò una controversa legge antiterrorismo che prevedeva, tra l'altro, il prolungamento del fermo di polizia da 48 ore a sette giorni per gli stranieri sospettati di avere legami con organizzazioni terroristiche, l'ampliamento delle misure di sorveglianza elettronica per facilitare le intercettazioni telefoniche, il controllo della posta elettronica e dei computer sospetti; pochi giorni dopo firmò anche un decreto che autorizzava i tribunali militari ad arrestare e processare cittadini stranieri sospettati di terrorismo. Sul fronte di guerra, abbattuto il regime dei Talebani (novembre 2001), Bush affermò che il conflitto sarebbe proseguito fino a quando non fosse stato sconfitto il terrorismo internazionale; a tal proposito stilò una lista di Paesi considerati pericolosi per gli S., nella quale comparivano Iraq, Iran e Corea del Nord. Il 5 dicembre, alla Conferenza di Bonn (cui presenziarono anche gli S.) venne raggiunto un accordo sull'amministrazione provvisoria che avrebbe guidato l'Afghanistan fino alla ricostituzione di istituzioni governative permanenti. Pochi giorni dopo anche l'ultima roccaforte talebana, Kandahar, fu conquistata dall'Alleanza del Nord. I prigionieri sospettati dagli S. di far parte di Al Qaeda vennero portati nella base militare di Guantanamo, sull'isola di Cuba, per essere interrogati. Per far fronte al grave conflitto arabo-israeliano, tra il 2001 e il 2002 gli S. effettuarono a più riprese tentativi di mediazione: inviarono il mediatore Anthony Zinni (novembre 2001, gennaio 2002, marzo 2002) e il segretario di Stato Colin Powell (aprile 2002), che non ottennero tuttavia risultati apprezzabili. Condizione primaria che Bush pose per far proseguire il dialogo tra Israele e Palestina fu il cambiamento della classe dirigente palestinese e l'isolamento del presidente Arafat, accusato di non agire con sufficiente fermezza contro gli attentati dei kamikaze. Con la conseguente nomina di Abu Mazen a primo ministro dell'ANP (V. PALESTINA), nel maggio 2003 gli S. si fecero promotori, insieme a Unione europea, Russia e ONU, del piano di pace denominato "Road Map", che prevedeva la creazione di uno Stato palestinese entro il 2005. Intanto, nel maggio 2002, S. e Russia raggiunsero un importante accordo sulla riduzione degli armamenti nucleari. L'intesa prevedeva una riduzione delle ogive nucleari a un numero tra le 1.700 e le 2.200, circa un terzo degli allora arsenali. Nel mese di novembre, a conferma del consenso della popolazione statunitense nei confronti di Bush, le elezioni di medio termine registrarono l'affermazione dei repubblicani, che conservarono la maggioranza dei seggi alla Camera, ottenendo anche quella al Senato, fino a quel momento appannaggio dei democratici. Contemporaneamente il Governo Bush, proseguendo la sua politica di lotta contro il terrorismo internazionale, dichiarò che avrebbe attaccato l'Iraq, colpevole di non aver permesso agli ispettori dell'ONU di ispezionare gli armamenti per verificare la presunta esistenza di armi di distruzione di massa. In novembre l'ONU approvò una risoluzione che autorizzava l'uso della forza in caso di non collaborazione da parte irachena. Dopo molti tentennamenti, Baghdad accettò di ospitare gli osservatori internazionali che proseguirono le ispezioni fino al marzo 2003, quando S. e Gran Bretagna decisero, senza l'avallo dell'ONU, di procedere militarmente contro l'Iraq, accusato di mancata collaborazione. Appoggiati dalla cosiddetta "coalizione anti-terrorismo" comprendente 30 Paesi, tra cui Italia e Spagna, gli Anglo-Americani imposero un ultimatum a Saddam Hussein, nel quale gli si intimava di lasciare il potere e il Paese. Di fronte al suo rifiuto, il 20 marzo ebbe ufficialmente inizio l'operazione Shock and awe (letteralmente "scuoti e sgomenta", riportato comunemente in italiano con "colpisci e terrorizza") con il bombardamento di Baghdad. Nelle settimane successive, parallelamente ai massicci bombardamenti sui principali centri abitati iracheni, le truppe statunitensi agli ordini del generale Tommy Franks avanzarono su terra, procedendo sia da Sud sia da Nord in direzione di Baghdad, conquistata il 9 aprile. L'entrata dei carri armati statunitensi nel centro della città e l'abbattimento delle statue di Saddam Hussein segnarono la fine del regime del dittatore iracheno. Dopo l'iniziale euforia della popolazione, nei giorni successivi in varie località dell'Iraq si moltiplicarono le manifestazioni antistatunitensi, che sfociarono presto in caos e anarchia. Per porre rimedio alla situazione, il Governo statunitense instaurò un Protettorato guidato dal generale Jay Garner, chiamato a garantire la sicurezza e a porre le basi per l'insediamento di un Governo provvisorio. Successivamente Garner venne affiancato dall'esperto di terrorismo ed ex funzionario del Dipartimento di Stato statunitense Paul Bremer. Il 1° maggio 2003 venne annunciata ufficialmente la fine delle ostilità in Iraq; gli Americani rimasero comunque nel Paese quali garanti del percorso di democratizzazione, provocando una degenerazione ulteriore della situazione. Gruppi armati iracheni attuarono una serie di attentati contro obiettivi militari statunitensi, che causarono un ingente numero di vittime, superiore a quello registrato durante la guerra. L'acuirsi delle tensioni in Iraq oscurò la popolarità di Bush che solo con la cattura di Saddam Hussein (13 dicembre)poté recuperare parte del sostegno popolare. Nei mesi successivi la sua immagine non venne scalfita né dallo scandalo scoppiato per le torture inferte ai prigionieri del carcere iracheno di Abu Ghraib (maggio 2004) da parte di militari anglo-americani, né dai rapimenti e dalle esecuzioni di cittadini statunitensi in Iraq, né dalla smentita della presenza di armi di distruzione di massa in Iraq. Le presidenziali del 2 novembre 2004, che registrarono un'affluenza da record, riconfermarono alla Casa Bianca per altri quattro anni il presidente uscente: rieletto con oltre 59 milioni di voti, Bush diventò il presidente più votato nella storia degli S. La vittoria di Bush sul rivale democratico John Kerry fu accompagnata dal successo, al Congresso, del Partito repubblicano, che si fece portavoce dei valori conservatori più radicati nel Paese: la famiglia, la fede e la patria. L'affermazione di Bush fu determinata, più che dalle tematiche legate al dopoguerra iracheno, dalle pulsioni morali: il rifiuto dell'aborto e della pillola anticoncezionale del giorno dopo e l'avversione nei confronti della ricerca sulle cellule staminali e dei matrimoni tra omosessuali. All'indomani della rielezione del presidente uscente, Colin Powell annunciò le proprie dimissioni dall'incarico di segretario di Stato; al suo posto Bush designò Condoleezza Rice. Nell'estate del 2005 una serie di uragani colpì il Paese, il più impetuoso dei quali, Katrina, nel mese di agosto si abbatté sugli Stati affacciati sul Golfo del Messico, rovinando sulla città di New Orleans che venne fortemente danneggiata dalla forza dei venti e dai successivi allagamenti. A differenza di quanto accaduto dopo l'11 settembre 2001, l'uragano Katrina non rinnovò il sentimento di unità nazionale e il consenso bipartisan nei confronti dell'amministrazione Bush. Intanto a fine ottobre il numero dei morti statunitensi in Iraq aveva superato i 2.000, provocando un nuovo attacco dei media contro la politica estera della Casa Bianca. In novembre il segretario di Stato Condoleezza Rice raggiunse un accordo con i Governi rumeno e bulgaro, che consentirono l'utilizzo dei loro territori per l'installazione di basi militari statunitensi, all'interno della strategia di ridislocamento delle truppe americane in Europa. Nel gennaio 2006 Bush indicò quali priorità della sua politica la guerra al terrorismo (a Iraq, Iran e Hamas), la competitività dell'economia, la riforma della sanità e la ricerca di nuove tecnologie energetiche alternative per porre fine alla dipendenza statunitense dal petrolio mediorientale. La situazione in Iraq rimase al centro delle preoccupazioni di Washington. Sebbene lo scoraggiamento serpeggiasse anche all'interno del Partito repubblicano, in giugno il Senato respinse le due proposte democratiche di ritiro delle truppe americane dall'Iraq. Le elezioni di mid-term (banco di prova per il presidente statunitense) tenutesi il 7 novembre segnarono una netta sconfitta di Bush e della sua amministrazione repubblicana. Fu determinante per il risultato la guerra in Iraq, risoltasi in un fallimento documentato dalla cronaca quotidiana e dall'entità delle perdite di soldati (104 i morti nel solo mese di ottobre), elemento a cui gli Americani sono tradizionalmente molto sensibili. Incisero sulla debâcle repubblicana anche le ansie della popolazione per nuovi attacchi terroristici e per la minaccia nucleare iraniana e nord-coreana, un forte malcontento sotto il profilo economico, i numerosi scandali di corruzione che avevano coinvolto membri repubblicani del Congresso, nonché i voti dei democratici di destra, i cosiddetti blue dogs, che in molti distretti sconfissero i repubblicani sul loro stesso terreno, appellandosi a valori quali la famiglia, una politica anti-tasse e il patriottismo. Con le elezioni di medio termine il Partito democratico conquistò la maggioranza sia al Senato (anche se di un solo seggio) sia alla Camera (di 30 seggi). In concomitanza con le elezioni della Camera e di un terzo del Senato, il 7 novembre gli elettori statunitensi furono chiamati a votare anche per il rinnovo dei governatori in 35 Stati su 50. I democratici "strapparono" ai repubblicani sei governatori, passando alla guida di 28 Stati dell'Unione su 50, rispetto ai 22 del 1994. Come conseguenza del deludente risultato elettorale il segretario alla Difesa Donald Rumsfeld, figura simbolo dell'amministrazione Bush, fu costretto a rassegnare le dimissioni; al suo posto venne chiamato Robert Gates, già direttore della CIA (1991-93) ai tempi di Bush padre e membro della commissione bipartisan che stava esaminando la possibilità di un cambio di strategia per l'Iraq. In politica estera gli S., che nel luglio 2006 avevano appoggiato l'invasione della Somalia da parte delle truppe etiopi, nel gennaio 2007 intervennero militarmente nello Stato del Corno d'Africa, ufficialmente per debellare l'Unione delle Corti islamiche (UCI) sostenuta da Al Qaeda, ma effettivamente per tutelare i loro interessi legati al petrolio. Il progetto di ampliamento della base militare USA "Ederle" a Vicenza, presentato dagli S. al Governo italiano nel 2005 e successivamente approvato dall'Esecutivo, scatenò forti tensioni in Italia nel febbraio 2007. Nel luglio dello stesso anno, mentre in Iraq la missione statunitense proseguiva, il quotidiano "New York Times" in un editoriale attaccò duramente la guerra nel Paese asiatico, che secondo la testata era stata voluta da Bush senza ragioni sufficienti, in contrasto con un'opposizione globale e sprecando risorse che il Pentagono avrebbe invece dovuto destinare all'Afghanistan. Il 3 settembre lo stesso Bush, accompagnato dal segretario di Stato Condoleezza Rice e dal consigliere per la Sicurezza nazionale Steven Hadley, fece visita a sorpresa alle truppe in Iraq, annunciando di avere intenzione di ridurre il contingente. Si trattava della terza visita del presidente dall'inizio del conflitto. L'estate del 2007 fu contrassegnata dal passaggio di due uragani tropicali, Dean e Felix che raggiunsero in un lasso di tempo straordinariamente breve il pericoloso livello 5. Il 2008 fu caratterizzato dalla lunga corsa alla Casa Bianca, infatti il presidente Bush, dopo due mandati di quattro anni, non era più rieleggibile. Tra gennaio e giugno si svolsero in tutti gli Stati dell'Unione le elezioni primarie o in alcuni Stati i caucus per la selezione dei candidati alla presidenza all'interno dei partiti maggiori. Tra i Repubblicani la corsa si trasformò in un testa a testa tra John McCain e Mitt Romney, con l'affermazione del primo dei due, mentre il duello democratico vide fronteggiarsi Hillary Rodham Clinton e Barack Obama: quest'ultimo all'inizio di giugno venne dichiarato vincitore, ma la Clinton scelse comunque di rimanere in corsa. Il 4 novembre si svolsero le elezioni presidenziali e venne eletto Obama, 44° presidente della storia della Federazione e primo afroamericano a ricoprire questo ruolo.
L'elezione di Barack Obama, 44° presidente statunitense



POPOLAZIONE


La popolazione degli S. è tra le più urbanizzate del mondo: per 4/5 vive, infatti, in città con più di 400.000 abitanti. Ciò si spiega col fatto che il popolamento delle terre del Nord America è stato contemporaneo alla rivoluzione industriale, la quale, se in Europa determinò vaste migrazioni dalle campagne, negli S., che nel XVII sec. erano ancora largamente disabitati, favorì sin dall'inizio lo sviluppo di agglomerati urbani. Fino ad allora, il territorio degli S. era popolato esclusivamente dai discendenti di quelle popolazioni che 40.000 anni prima erano giunte sul continente americano dall'Asia attraverso lo stretto di Bering e che si caratterizzavano per scarsa densità degli insediamenti e tecnologia decisamente arretrata. La migrazione europea, dovuta in buona parte alle persecuzioni religiose in atto sul Vecchio Continente, scompaginò il quadro, con gli Inglesi che occuparono tutta la costa atlantica, gli Olandesi (in buona parte calvinisti) che fondarono Nuova Amsterdam (poi divenuta, dopo la conquista inglese, New York), i quaccheri che si insediarono in Pennsylvania e i cattolici nel Maryland; il risultato fu che nel 1790 il primo censimento ufficiale accertò che negli S. (su un territorio notevolmente inferiore rispetto a quello attuale) vivevano circa 4 milioni di abitanti. La conquista dell'indipendenza accentuò ancor di più le migrazioni dall'Europa, in particolare di Inglesi, Irlandesi e Tedeschi; ciò favorì un vistoso incremento demografico, cui concorse, peraltro, l'annessione di parte del territorio messicano: fu così che il censimento del 1860 registrò la presenza di più di 31 milioni di abitanti. Alla fine della guerra di Secessione iniziò la colonizzazione delle terre a Ovest del Mississippi, per realizzare la quale venne per un certo periodo favorita l'immigrazione, cosicché finirono per giungere negli S. Italiani, Serbi, Croati, Spagnoli. Verso la fine del XIX sec., poi, a seguito del popolamento della costa pacifica, si fecero consistenti gli arrivi di Asiatici (Filippini e Cinesi, in particolare). I Governi che si alternarono alla guida del Paese nella prima metà del XX sec. decisero, pertanto, di porre un freno all'immigrazione, fissando limiti di flusso piuttosto rigidi e allentandoli solo in favore degli Ebrei in fuga dalle persecuzioni naziste. Non per questo il problema dell'immigrazione giunse a soluzione: anzi, nella seconda metà del XX sec., esso si accentuò in ragione della massiccia immigrazione clandestina ispanofona (contro la quale a poco servì l'adozione di misure piuttosto severe) e dei fenomeni dei boat-people asiatici e dei balseros cubani (questioni per le quali ragioni politiche consigliarono agli S. un approccio più morbido). In queste dinamiche migratorie sta il paradosso dell'andamento demografico statunitense della fine del XX sec.: la popolazione complessivamente cresce di un tasso annuo del 10% che, però, si riduce al 5% quando si considerino i soli oriundi europei, mentre raggiunge finanche il 16% quando si prendano in esame Asiatici e Afro-Americani (i quali costituiscono, insieme agli Amerindi, le etnie meno integrate nella società statunitense). Da un punto di vista numerico, l'etnia dominante è quella bianca, che costituisce circa l'80% della popolazione; rilevante è, poi, la minoranza nera (quasi il 12%), insediata principalmente negli Stati di New York, California, Illinois, Texas, Georgia e Louisiana. Il quadro è completato dagli Asiatici (4 milioni circa) e dagli Amerindi (1.400.000), stanziati per la maggior parte in Oklahoma, Arizona, California e New Messico. ║ Per quel che concerne la distribuzione della popolazione sul territorio statunitense, un'utile chiave di lettura può essere fornita dalla tradizionale suddivisione degli S. in nove grandi regioni geografiche: tre sull'Atlantico (New England, Middle Atlantic e South Atlantic), quattro centrali (East North Central, East South Central, West North Central, West South Central), due nell'area che gravita sul Pacifico (Mountain e Pacific).

LINGUA

Rispetto al British English parlato in Inghilterra, l'inglese degli S., l'American English, presenta molte differenze d'ordine fonetico, lessicale, sintattico e di pronuncia; inoltre, all'interno del vastissimo territorio, presenta cospicue varietà regionali, connesse al multiforme sostrato linguistico amerindio e soprattutto a fattori storici e sociali, tra cui la colonizzazione da parte di gente di origine britannica nei secc. XVI-XVII e il cospicuo afflusso migratorio di cittadini europei (in particolar modo italiani) nei secc. XIX-XX. Si deve al lessicografo N. Webster (1758-1843) una riforma semplificata della grafia dell'inglese americano, atta a conferire a questa lingua una dignità a sé rispetto a quella parlata in Inghilterra e un'uniformità standard che si è poi progressivamente stabilizzata in tutto il Paese, grazie a scuola, stampa e mass-media. I principali elementi fonetici distintivi sono l'indebolimento della t intervocalica, la diversa pronuncia di vocali e dittonghi e un generico processo di nasalizzazione; le semplificazioni ortografiche più comuni, la monottongazione (color per colour: colore) e le modificazioni legate alla pronuncia (nite per night: notte); notevoli le differenze lessicali (apartment per flat: appartamento; elevator per lift: ascensore). Nella seconda metà del XX sec. si è accentuato il plurilinguismo, da sempre peculiarità degli S., fatto che ha portato, nel 1968, al Bilingual Educational Act, provvedimento mirante a favorire i parlanti di etnie diverse (forte la percentuale ispanica) per cui l'inglese non fosse lingua madre. Frequenti, inoltre, le cosiddette “variazioni sociali” dell'inglese americano, cioè i processi di fusione con la parlata di altre etnie, tra cui va segnalato, negli Stati del Sud e nei grandi centri urbani, il Black English, nato dalla lingua degli schiavi africani che lavoravano nelle piantagioni e ora diffusissimo tra la popolazione afro-americana.

LETTERATURA


La letteratura nord-americana si formò dapprima come estensione di quella inglese, dalla quale si distanziò e differenziò progressivamente, raggiungendo un'immagine autonoma via via che le strutture sociali, politiche ed economiche andavano consolidandosi. Il processo fu lento e graduale e, irradiando dai territori della Nuova Inghilterra, presso la costa atlantica settentrionale, la cultura di matrice anglosassone si diffuse, personalizzandosi, verso l'interno del Paese. Una periodizzazione, necessariamente approssimativa, individua una prima fase coloniale, cui seguono la cosiddetta “epoca della ragione”, il periodo romantico, il Rinascimento americano, diviso tra Trascendentalismo, Realismo e Naturalismo, e una tendenza modernista, che lascerà poi il posto, nel secondo Novecento, ad avanguardie postmoderne, contrassegnate da un diffuso multiculturalismo. ║ La fase coloniale: compresa tra la metà del XVII sec. e la metà del XVIII sec., mostrò una dipendenza dal modello inglese ancora molto forte. Nel 1607, gruppi di coloni approdarono alla baia di Chesapeake dove, sotto la guida di J. Smith (1580-1631), fondarono Jamestown, in omaggio al successore di Elisabetta, Giacomo I. Di questo insediamento Smith tenne alcuni diari, tra cui La vera relazione di avvenimenti accaduti in Virginia (1608), ma la prima opera con valore letterario, oltreché storico, risale all'epoca della fondazione di Plymouth, iniziata nel 1620 ad opera di un gruppo di uomini di fede calvinista, fuggiti dalle Isole Britanniche, dove erano oggetto di feroci persecuzioni, e salpati dall'omonima Plymouth inglese a bordo del Mayflower. Tra questi coloni, ribattezzati poi Padri Pellegrini (Pilgrim Fathers), si distinse W. Bradford (1590-1657), governatore della nuova città e autore della relazione Storia della colonia di Plymouth (postumo, 1856). Analoga l'opera di J. Winthrop (1588-1649) per la colonia nella baia di Massachusetts, dove giunse nel 1630 dalla madrepatria in qualità di governatore. Questi primi scritti, per lo più aride registrazioni di fatti, conservano comunque vigore drammatico e sono venati da un certo fanatismo alimentato dal complesso di persecuzione che i loro autori, di rigida osservanza calvinista, avevano maturato in seguito alla repressione operata nei loro confronti in Inghilterra. Il conflitto tra bene e male, una tendenza moraleggiante, la tensione religiosa e il carattere edificante, la teoria della predestinazione, il simbolismo e il frequente ricorso all'allegoria, uniti a un influsso dei testi sacri, caratterizzano le opere di questi pionieri, per rimanere, in modo sfumato, in tutta la produzione letteraria successiva. La poesia del periodo coloniale ha i suoi maggiori rappresentanti in A. Bradstreet (1612-1672), autrice di una raccolta di liriche piuttosto convenzionali e ancora vincolate al modello elisabettiano (La decima musa testé apparsa in America, 1650), in M. Wigglesworth (1631-1705), che nel poema Il giorno del giudizio (1662) espose approfonditamente la dottrina calvinista, e in E. Taylor (1644 circa - 1729) che, fedele alla tradizione metafisica inglese e dei concettisti anglo-cattolici, compose liriche improntate a un sincero sentimento religioso, considerate tra le più alte espressioni del Barocco coloniale. Nella prosa di W. Byrd (1674-1744), nato in Virginia e poi formatosi in Inghilterra, non mancano spunti ironici, un tono più mondano e uno stile più agile. Membro della commissione che doveva stabilire la linea di confine della Virginia con la Carolina del Nord, descrisse il suo incarico tra gli Indiani con note vivaci e umoristiche. In genere i coloni della seconda generazione, nati in terra statunitense, riflettono nei loro scritti il progressivo assestamento delle condizioni socio-economiche: lo slancio pionieristico si è affievolito e il distacco spirituale e culturale dalla madrepatria si è fatto più sensibile. Degni di nota, C. Mather (1663-1728), che nei Magnalia Christi Americana (1702), disegnò una storia ecclesiastica del New England, improntata a una religiosità intransigente e ricca di notizie sui personaggi dell'epoca; S. Sewall (1652-1730), nei cui diari sono riportate acute riflessioni sui drammatici processi alle streghe di Salem, che egli seguì in veste di giudice, e S.K. Knight (1666-1727), autrice di un diario relativo a un suo viaggio a New York, ricco di spunti interessanti e sagaci. Con J. Edwards (1703-1758), vigoroso predicatore e autore di diversi sermoni, permeati dal terrore della giustizia divina (Peccatori nelle mani di un Dio irato, 1741), si registrò un anacronistico ritorno al fanatismo dei primi coloni. Fondatore del movimento nostalgico Revival, che poi prese il nome di Great awakening (Gran risveglio), visse in modo contraddittorio l'insofferenza nei confronti del Governo teocratico che già caratterizzava gli scritti di C. Mather e improntò la sua attività religiosa a un rigore assoluto. Tolleranza e solidarietà trovano invece spazio nelle pagine del diario (Journal, postumo, 1774) di J. Woolman (1720-1772), con cui si anticipò il passaggio alla fase successiva, la cosiddetta “epoca della ragione”. ║ L'epoca della ragione”: in questa fase emerse la personalità di B. Franklin (1706-1790), i cui scritti, redatti in uno stile semplice, lucido e incisivo, ripresi poi dalla prosa successiva, riflessero gli orientamenti sociali ed economici del tempo. Soprattutto con l'Autobiografia (postuma 1868), ispirata ai principi dell'Illuminismo, egli contribuì a instillare nella coscienza del Paese quel pragmatismo che sarebbe poi divenuto nota caratteristica della mentalità americana e, con la sua attività diplomatica, concorse a preparare il terreno per l'imminente guerra d'Indipendenza contro l'Inghilterra (1775). Tutta la letteratura di questa fase è caratterizzata da uno spiccato sapore politico e propagandistico: pilastro della democrazia americana, la Dichiarazione d'indipendenza (1776) di Th. Jefferson (1743-1826), deputato della Virginia e terzo presidente degli S., contiene le linee di pensiero fondamentali dell'epoca, tra cui, in primo piano, l'uguaglianza tra gli uomini. Anche gli scritti di J. Dickinson (1732-1808), Th. Paine (1737-1809) e A. Hamilton (1757-1804), improntati a schietta praticità e segnati da un orientamento prettamente razionalistico, contribuirono a segnare l'opinione pubblica, affrontando le questioni politiche e costituzionali della Nazione nascente, tra cui l'alternativa tra l'indipendenza dei singoli Stati e la soluzione federativa. A questa produzione di impronta politica si affiancarono i testi, in prosa e poesia, degli schiavi africani deportati nelle colonie, interessanti da un punto di vista storico e sociale in quanto dimostrazione di un primo tentativo di conquista personale in un ambiente dove agli schiavi era precluso per legge l'uso della scrittura. La personalità più significativa fu quella di Oulaudah Equiano (1745-1797), conosciuto sotto lo pseudonimo di Gustavus Vassa, che, ritornato libero giovanissimo, scrisse un'autobiografia di indubbio valore letterario ispirata a un convinto abolizionismo. L'“epoca della ragione” presentò, sul piano poetico, una situazione di generale stasi, in cui però emersero i nomi di J. Trumbull (1750-1831), J. Barlow (1754-1812), autore de La colombiade (1807), primo poema epico sulla storia del nuovo continente, e Ph. Freneau (1752-1832), autore di pungenti testi satirici, con uno stile finalmente libero da convenzioni, e di componimenti che anticiparono il gusto preromantico (Il cimitero indiano, 1778; La casa della notte, 1779). ║ Il periodo romantico: l'opera del botanico W. Bartram (1739-1823) introdusse nella letteratura americana un nuovo elemento, il gusto per la natura selvaggia, per i territori ancora poco conosciuti e le zone di frontiera, e segnò il passaggio alla fase romantica. Con Ch.B. Brown (1771-1810), autore di origine quacchera nativo di Filadelfia, il processo di affrancamento culturale dai modelli inglesi può considerarsi compiuto e nei suoi romanzi (Wieland, 1798; Ormond, 1799; Edgar Huntly, 1799; Arthur Mervyn, 1799-1800), considerati origine del romanzo americano, il Gotico inglese venne contestualizzato nel Nuovo Mondo. Alla diversa ambientazione geografica si aggiunse una particolare attenzione per le pieghe più oscure della psicologia dei personaggi, per le note più angoscianti, dato poi ripreso e sviluppato nell'Ottocento da Poe, Melville e Hawthorne. Si innestò in questo filone W. Irving (1783-1859), saggista e poi scrittore, in cui il piacere per l'evasione fantastica si coniuga al gusto per il racconto storico e per le relazioni di viaggio, e all'interesse per le saghe e leggende europee, da lui trasposte sullo sfondo americano; rappresentativo, a questo proposito, Il libro degli schizzi (1819-20), mentre in Bracebridge hall (1822) e Racconti di un viaggiatore (1824) prevalse la rivisitazione del racconto di costume e in Cronaca della conquista di Granada (1829) e L'Ahalambra (1832) forte fu il riflesso della sua attività diplomatica in Spagna. L'opera di J.F. Cooper (1789-1851) contemplò diversi generi, dal romanzo di guerra (La spia, 1821), al racconto marinaresco (Il pilota, 1823), all'epopea della lotta tra colonizzatori e nativi, in cui diviene centrale il tema della Frontiera, l'avanzata verso le sconfinate praterie dell'Ovest, a cui venne dedicato il ciclo I racconti di Calza di Cuoio: I pionieri (1823), L'ultimo dei mohicani (1826), La prateria (1827), La guida (1840) e L'uccisore di cervi (1841). Al carattere celebrativo di questa saga si contrappose il tono polemico delle ultime opere (Satanstoe, 1845; L'uomo in catene, 1845; I pellirossa, 1846), scritte dopo un lungo soggiorno in Europa, in cui è tangibile la delusione dell'autore di fronte al nuovo indirizzo industriale assunto dal Paese, che aveva così accantonato il modello di democrazia agraria originario. E.A. Poe (1809-1849) è sicuramente la figura più significativa e interessante della vita culturale americana della prima metà dell'Ottocento: narratore, critico e giornalista, esordì con la poesia (Tamerlano e altre poesie, 1827) e il romanzo (Le avventure di Gordon Pym, 1838), per poi rinnovare in modo del tutto originale la struttura del racconto, ottenendo una notevole perfezione formale (Racconti del grottesco e arabesco, 1840; Racconti, 1845), dando infine vita al romanzo poliziesco, creando, con la figura di Monsieur Dupin, il modello del moderno detective. Ai motivi romantici, alla predilezione per il fantastico, si affiancarono una componente prettamente razionale, un'attitudine speculativa e un notevole rigore critico, che trovarono espressione in saggi quali La filosofia della composizione (1846) e Il principio poetico (1849). ║ Il Rinascimento americano: l'espressione, che ripete il titolo di un noto saggio critico di F.O. Matthiessen del 1841, designa quella corrente ispirata al Trascendentalismo, che a sua volta rielaborò le linee dell'Idealismo tedesco. Mutuando da Kant il concetto della centralità della conoscenza, questo movimento filosofico-letterario, diffuso nella Nuova Inghilterra, reagì contro il rigido Calvinismo imperante, come aveva cercato di fare la riforma della Chiesa Unitaria, teorizzando una libertà religiosa che permettesse al singolo di percepire la verità tramite la semplice intuizione e di partecipare alla mente universale (oversoul), dal momento che Dio è presente in lui e nella natura. I maggiori esponenti furono R.W. Emerson, autore del saggio-manifesto del nuovo pensiero Natura (1836), H.D. Thoreau, N. Hawthorne, H. Melville e W. Whitman. La vasta produzione letteraria di Emerson (1803-1882), in cui il Trascendentalismo si adatta di volta in volta ai diversi temi affrontati (dall'affermazione delle capacità individuali alla libertà di testimonianza), fu determinante per il definitivo affrancamento intellettuale della cultura statunitense dai modelli anglosassoni. Il rapporto armonioso dell'uomo con la natura, da lui descritto nelle pagine del Diario (1820-76), venne ripreso dall'amico H.D. Thoreau (1817-1862) nel notissimo Walden o la vita nei boschi (1854), diario dei due anni di isolamento da lui volontariamente trascorsi nei boschi intorno a Concord, sua città natale che vide lo sviluppo del cosiddetto movimento trascendentalista. Nei testi successivi (Disobbedienza civile, 1849; Apologia per il Capitano John Brown, 1859) il discorso dell'autonomia del singolo nei confronti della società, la tensione individualistica, vennero sviluppati in senso politico, determinando in Thoreau un distacco polemico dallo Stato, soprattutto nell'ambito del dibattito sull'abolizionismo. Le stesse problematiche vennero riprese, con una visione questa volta drammatica, da N. Hawthorne (1804-1864) che, scandagliando le pieghe più recondite dell'animo umano, traspose il suo travaglio morale in opere di grande spessore e valore letterario, La lettera scarlatta (1850) prima fra tutte; diviso tra la tradizione puritana, nella quale si inseriva la sua famiglia, e un giudizio morale più flessibile, indagò l'anima e il suo destino, e in genere l'ambiguità e i compromessi della condizione umana. H. Melville (1819-1891) sviluppò gli stessi temi scegliendo la forma dell'allegoria: Moby Dick (1851), indiscusso capolavoro della narrativa americana, seppur riconosciuto come tale molto tempo dopo la sua pubblicazione, riflette la giovanile e intensa esperienza marinaresca dell'autore, per assumere i toni di un grandioso dramma descritto con stile multiforme, che riprende moduli espressivi biblici, shakespeariani e propri del linguaggio scientifico: la difficile vita di bordo sul Pequod e la lotta ostinata del capitano Achab contro la balena bianca, simbolo del male del mondo, altro non sono che l'immagine emblematica della tragicità del destino umano. Tra le altre sue opere, vanno ricordate Taipi (1846), Omoo (1847), Mardi (1849), Giacchetta bianca (1850), I racconti della veranda (1856), L'agente segreto (1857) e Billy Budd (postumo, 1924). Con W. Whitman (1819-1892) il Rinascimento americano si arricchì dell'esperienza poetica, vissuta all'insegna della rottura con la tradizione: tra la prima (1855) e l'ultima (1891) edizione di Foglie d'erba, raccolta di poesie e di brani unanimemente considerata il suo capolavoro, se ne inseriscono altre che rispecchiano via via l'evoluzione del percorso interiore di questo immaginifico poeta, ricco della lezione del Trascendentalismo, uomo irrequieto e tormentato, geniale cantore del progresso sociale, della fratellanza fra gli uomini e di un certo misticismo cosmico. Per affrontare i mille aspetti della quotidianità e parlarne al maggior numero di persone, nelle sue liriche scelse uno stile semplice e popolare, cadenzato solennemente alla maniera dei testi biblici. Altri poeti restarono nel solco della tradizione romantica inglese: tra questi W.C. Bryant (1794-1878), autore di un poemetto di stampo classico (Thanatopsis, 1817), e W. Longfellow (1807-1882), che animò la vita culturale di Boston tra gli anni Quaranta e Cinquanta dell'Ottocento. Professore a Harvard e traduttore di Dante, rimase sempre strettamente legato ai modelli europei e con tali moduli formali e linguistici espresse motivi storici e folclorici americani in componimenti popolari (Evangelina, 1847; La canzone di Hiawatha, 1855) di carattere convenzionale. Del Gruppo di Boston fecero parte anche J.G. Whittier (1807-1892) e J.R. Lowell (1819-1891), che della Nuova Inghilterra studiarono le tradizioni e il dialetto, e O.W. Holmes (1809-1894), la cui produzione si pone tra letteratura e saggistica. La centralità del Massachusetts nel panorama culturale americano dell'Ottocento venne ribadita, oltreché dai romanzi di carattere storico di J.L. Motley (1814-1877) e dalle opere sul tema della Frontiera di F. Parkman (1823-1893), dalla vastissima produzione poetica di E. Dickinson (1830-1886), pubblicata in versione integrale solo nel 1955. Caratterizzate da toni intensi e delicati e da ardite soluzioni stilistiche, le sue poesie esprimono un distacco esasperato dal mondo e un individualismo che, nei toni della contemplazione e della meditazione, riflettono l'isolamento fisico dell'autrice nella casa paterna di Amherst. La fine dell'Ottocento vide l'affermarsi di una tendenza realistica e naturalistica, che si sarebbe protratta fino all'inizio del secolo successivo. L'avanzata verso Ovest, il cosiddetto tema della Frontiera, già affrontato, tra gli altri, da J.F. Cooper e da F. Parkman, in quello scorcio di secolo produsse sugli scrittori americani un effetto maggiore di quanto non seppe fare la guerra civile. Si deve a F.B. Harte (1836-1902), giornalista e romanziere di origine newyorchese, una raccolta di racconti ambientati nell'Ovest (La fortuna di Roaring Camp, 1870) e pure M. Twain (1835-1910), giornalista fecondissimo, sottile caricaturista e grande oratore, esordì con La famosa rana saltatrice della contea di Calaveras (1865), racconto umoristico sulla Frontiera, per divenire poi uno dei principali romanzieri del secondo Ottocento. Tra le sue opere di maggiore successo, improntate a un intenso realismo, ottenuto anche con l'impiego di una lingua duttile che è riflesso del parlato e delle differenze dialettali, e caratterizzate da toni picareschi e da una predilezione per i temi connessi all'infanzia, il sogno, il gioco e le scoperte, ricordiamo: Le avventure di Tom Sawyer (1876); Le avventure di Huckleberry Finn (1884); Un americano alla corte di re Artù (1889). L'ottimismo e la fiducia nel futuro lasciarono posto, nelle ultime opere (Wilson lo zuccone, 1894; L'uomo che corruppe Hadleyburg, 1900; Lo straniero misterioso, 1916, incompiuta e postuma), a una desolata cupezza, accentuata anche da una serie di tragici eventi familiari. Lo sperimentalismo linguistico ritornò in certi racconti di J.Ch. Harris (1848-1908), che riproducono brillantemente la parlata degli schiavi delle piantagioni. In questo stesso ambiente geografico si svolge l'azione de La capanna dello zio Tom (1852), romanzo di modesto valore letterario, ma di grande influsso storico-sociale, con cui l'autrice H. Beecher Stowe (1811-1896) contribuì a promuovere la causa abolizionista. Nel panorama letterario dell'epoca si distinsero due altre scrittrici: K. Chopin (1849-1909), che con il romanzo Il risveglio (1899) diede voce, seppur simbolica, all'identità femminile che dopo anni di annullamento andava allora lentamente riaffermandosi; S.O. Jewett (1849-1909), nativa del Maine di cui descrisse, ne Il paese degli abeti aguzzi (1896), l'involuzione economica e sociale nel passaggio dal mercantilismo all'industrialismo, segnalandosi come intensa scrittrice regionale. L'ambiente borghese dell'epoca, diviso tra moralità e ambizione, riflesso della profonda trasformazione sociale determinata dalla rivoluzione industriale, trovò espressione nelle pagine di W.D. Howells (1837-1920), romanziere di spicco nei filoni realistico e del romanzo cortese; tra i titoli principali: Un incontro occasionale (1873); Un esempio moderno (1881); L'ascesa di Silas Lapham (1885). Gli stessi temi e ambienti cari a Howells furono poi ripresi e sviluppati magistralmente da H. James (1843-1916), caposcuola del Realismo e prolifico autore di romanzi finemente introspettivi nei quali ritrasse il conflitto culturale tra l'Europa - da cui fu affascinato, giovanissimo, nei numerosi viaggi con la famiglia e che scelse poi come patria nella seconda parte della sua vita - e il Nuovo Mondo, descrivendo al contempo il declino della società borghese, avvalendosi di moduli stilistici e narrativi maturi e compiuti, di cui avrebbe fatto trattazione sistematica in un saggio critico dell'ultimo periodo L'arte del romanzo (postumo, 1934). Tra le sue opere di maggiore successo, segnaliamo Daisy Miller (1879), Ritratto di signora (1881), I bostoniani (1886), Il carteggio Aspern (1888), Una vita londinese (1888), Giro di vite (1898), Le ali della colomba (1902), Gli ambasciatori (1903), La coppa d'oro (1904). Anche E. Wharton (1862-1937), affine a James per tematiche e stilemi, lasciò la nativa New York per stabilirsi in Europa, restando comunque attenta cronista della società americana del suo tempo, di cui, con La casa dell'allegria (1905) e L'età dell'innocenza (1920) stigmatizzò gli aspetti connessi all'avvento dei nuovi ricchi. Nel solco della tradizione naturalistico-realistica si mossero anche altri autori: H. Garland (1860-1940), che nella raccolta di racconti Le strade più battute (1891) descrisse le misere condizioni storico-sociali dell'Ovest agrario; S. Crane (1871-1900), autore de Il segno rosso del coraggio (1895) in cui, pur privo di qualsiasi esperienza bellica, seppe dipingere con notevole intensità il quadro della guerra civile, ricreando in modo veristico gli stati d'animo e le reazioni fisiche di un giovane soldato; F. Norris (1870-1902), seguace di Zola, da lui conosciuto a Parigi, più incline alla descrizione dei processi di degenerazione psicofisica, come in Una storia di San Francisco (1899); J. London (1876-1916), che nei suoi romanzi trasferì l'azione in spazi aperti e primordiali (Il richiamo della foresta, 1903; Zanna bianca, 1906), o scelse la forma della biografia (Martin Eden, 1909; John Barleycorn,1913); Th. Dreiser (1871-1945), che analizzò, in un naturalismo esasperato, le reazioni psichiche degli individui a contatto con ambienti urbani (Nostra sorella Carrie, 1900; Una tragedia americana, 1925); H.B. Adams (1838-1918), che ne L'educazione di Henry Adams (1906) diede voce al malessere degli intellettuali dell'epoca. Tra le voci femminili del movimento non possiamo non ricordare E.A. Glasgow (1862-1937), nei cui scritti, ad esempio Virginia (1913) o Terra sterile (1925), trasferì ambienti e problematiche della nativa Virginia in un contesto cortese, o W.S. Cather (1873-1947), scrittrice cattolica che utilizzò l'originario Nebraska come sfondo nel quale dipanare vicende legate a figure di eroine simili a quelle nate dalla penna di James (Il gelso bianco, 1913; La mia Antonia, 1918). ║ Il Modernismo: i primi decenni del Novecento furono caratterizzati da un forte sperimentalismo di marca modernista. In campo poetico dominò l'esigenza di un linguaggio rinnovato, in rottura con le forme e i moduli tradizionali e aderente a una realtà in veloce evoluzione: il manifesto di questa nuova tendenza, detta Imagismo, venne pubblicato nel 1913 sulla rivista d'avanguardia “Poetry”, fondata da H. Monroe a Chicago, città che in quegli anni era divenuta vivace centro culturale. All'inizio i maggiori esponenti furono G. Stein (1874-1946), trasferitasi presto in Europa e conosciuta anche per i suoi testi in prosa (Autobiografia di A. Toklas, 1933), che in Teneri bottoni (1911-12) tratta la poesia al pari delle arti figurative attuando una scomposizione linguistica di tipo cubista, ed E. Pound (1885-1972), che pure all'America scelse l'Europa, i cui Cantos (1919-70), caratterizzati da un impasto multiforme di lingue, toni e stili e da una progressiva adesione al vorticismo e al sincretismo, ebbero un'influenza determinante sulla poesia sperimentale di tutto il Novecento. A Pound si deve anche la scoperta di altri poeti, primo fra tutti l'anglo-americano T.S. Eliot (1888-1965), che nelle sue opere (Prufrock e altre osservazioni, 1917; La terra desolata, 1922; Mercoledì delle ceneri, 1927-30; Quattro quartetti, 1943) espresse la crisi profonda di un mondo senza più valori e punti di riferimento, mitigando solo in parte tale sconforto con la conversione all'Anglicanesimo. Eliot fu anche autore di drammi, tra i quali ricordiamo: Assassinio nella cattedrale (1935), Riunione di famiglia (1939), Cocktail party (1950). Si innestano nel Modernismo anche W.C. Williams (1883-1963), partito dall'imagismo e approdato a un linguaggio sempre più concreto, e W. Stevens (1879-1955), diviso tra Simbolismo francese, Impressionismo e Sperimentalismo; rimasero entrambi legati alla realtà statunitense che, come già ricordato, aveva fatto di Chicago il centro propulsore delle nuove tendenze e in cui operava E.L. Masters (1869-1950), autore della notissima Antologia di Spoon River (1915), arrivata in Italia grazie all'interessamento di C. Pavese e tradotta da F. Pivano. E ancora vanno ricordati E.E. Cummings (1894-1962), che traspose in versi ritmi e tempi espressivi tipici del linguaggio orale, adottando anche accorgimenti linguistici particolari quali l'uso costante di minuscole (Etcetera, 1925; Viva, 1931; 50 poesie, 1940); L. Hughes (1902-1967), poeta afro-americano che in Blues stanchi (1926) seppe dar voce alla cultura e al linguaggio tipico dei neri, diventando figura di spicco della cosiddetta Harlem Renaissance; H. Crane (1899-1933), che traspose nelle sue liriche, caratterizzate da una netta vena tragica che determinò anche la sua vita, grande potenza visionaria; E.A. Robinson (1869-1935), capace di analizzare in modo profondo aspetti e figure della realtà contemporanea; R. Frost (1874-1963), che scelse di utilizzare nelle sue opere (ricordiamo Testamento di un fanciullo, 1913, e A Nord di Boston, 1914) un linguaggio semplice, alla portata di tutti; M. Moore (1887-1972), eclettica e ironica, vicina allo Sperimentalismo di W. Stevens e W.C. Williams, divisa tra impeti fantastici e approccio razionalistico. Nella narrativa, il Modernismo trovò espressione nei Racconti dell'Ohio (1919) di S. Anderson (1876-1941), nei quali ha ampio spazio il perturbamento dell'individuo in una società sempre più meccanizzata e industrializzata; nei romanzi di F.S. Fitzgerald (1896-1940) - tra cui Il Grande Gatsby (1925) e Tenera è la notte (1934), modelli di lucidità formale e specchio della cosiddetta “età del jazz”, divenuti classici della letteratura americana - e di E. Hemingway (1899-1961), quali Il sole sorge ancora (1926), Addio alle armi (1929), ma anche i racconti della raccolta Nel nostro tempo (1925), il cui stile narrativo scevro da sentimentalismi e improntato a un'essenzialità cronachistica avrebbe fatto scuola; e ancora nella trilogia U.S.A. (1930-36) di J. Dos Passos (1896-1970) o nei romanzi di H. Miller (1891-1980), Tropico del Cancro (1934) e Tropico del Capricorno (1939), stilisticamente liberi e arditi nella scelta delle tematiche sessuali, e nelle opere di N. West (1903-1940), tra cui ricordiamo Il giorno della locusta (1939), condanna della società statunitense fatta attraverso il microcosmo hollywoodiano, che egli aveva conosciuto in qualità di sceneggiatore. Un posto di spicco occupa l'opera di W. Faulkner (1897-1962), il maggiore tra i narratori del Novecento, Nobel per la letteratura nel 1949, che proietta la sua amara visione della condizione umana, irrimediabilmente minacciata dal male, sullo sfondo della contea del Mississippi (L'urlo e il furore, 1929; Santuario, 1931; Luce d'agosto, 1932; Assalonne! Assalonne!, 1936; Il borgo, 1940). Agli stessi paesaggi del Sud rivolsero la loro attenzione J. Cain (1892-1977), autore de Il postino suona sempre due volte (1934), e C. McCullers, nota per la particolare sensibilità con cui affrontò il tema dell'incomunicabilità (Riflessi in un occhio d'oro, 1941; Invito di nozze, 1946). Da ricordare, sia per lo sperimentalismo linguistico, sia per la loro denuncia del degrado sociale accompagnata a un interesse ai problemi di attualità, S. Lewis (1885-1951), Nobel per la letteratura nel 1930 (Strada maestra, 1920; Babbitt, 1922); U. Sinclair (1878-1968); J. Steinbeck (1902-1968), particolarmente vicino alla misera condizione della realtà agricola sullo sfondo della Depressione, di cui Uomini e topi (1937) e Furore (1939) restano le opere più significative; H. Roth (1906-1995), la cui sola opera di rilievo, Chiamalo sonno (una storia scritta nel 1936 ma definitivamente riscoperta negli anni Sessanta, nella quale trova spazio la vicenda di un ragazzino ebreo negli slums newyorchesi), fece del romanziere ebreo un caso letterario cui contribuì la sua decisione di interrompere per molti anni l'attività di scrittore; Th. Wolfe (1900-1938), narratore afro-americano di portata internazionale, voce della discriminazione razziale (Angelo, guarda il passato, 1929; Non puoi tornare a casa, postumo 1940), così come R. Wright (1908-1960), conosciuto per Paura (1940) e Ragazzo negro (1945). Differente è invece la produzione di H.P. Lovecraft (1890-1937) che, sulla scia di Poe, si dedicò a un tipo di narrazione nella quale elementi fantastici e visionari si uniscono per dar forma a racconti horror e fantascientifici (L'orrore di Dunwich, 1927; Le montagne della follia, 1936). In seno al Modernismo si svilupparono anche una tradizione di teatro d'autore e una forte tradizione critica. La prima, fino ad allora pressoché inesistente, trovò in E. O'Neill (1888-1953) il suo iniziatore. Legato per anni alla compagnia dei Provincetown players, raggiunse l'apice del successo con Strano interludio (1928) e Il lutto si addice a Elettra (1931), in cui i modelli del contemporaneo teatro europeo si fondono con la rivisitazione della tragedia greca. A D. Belasco (1859-1931) si devono Madama Butterfly (1900) e La fanciulla del West (1905), divenuti poi libretti per le omonime opere liriche di G. Puccini; a E. Rice (1892-1967) La macchina calcolatrice (1923) e a C. Odets (1906-1963) Svegliati e canta! (1935) e Aspettando Lefty (1935), testi, insieme ad altri, caratterizzati da forte impegno politico e sociale. Quanto allo sviluppo di una tradizione critica, anticipata dai già citati saggi di E.A. Poe e di H. James, le prime prove, magistrali, furono gli scritti di E. Pound (Lo spirito del romanzo, 1910; Investigations, 1920; Saggi letterari di Ezra Pound, raccolta pubblicata postuma nel 1954 da T.S. Eliot) e Il bosco sacro (1920) e Dante (1929) di T.S. Eliot. Ma è intorno alla figura e all'opera di J.C. Ransom (1888-1974), padre del New Criticism, un movimento che poneva al centro dello studio critico il testo letterario, che si concentrarono i maggiori critici dell'epoca: R.P. Warren (1905-1989), A. Tate (1899-1979), Y. Winters (1900-1968), C. Brooks (1906-1994) e L. Trilling (1905-1975). Nei saggi di F.O. Matthiessen (1902-1950), già citato per la sua definizione e analisi del Rinascimento americano, all'importanza del testo si affianca quello del contesto storico sociale in cui tale testo è nato, principio che guiderà, poi, la critica marxista. Alla fase più acuta della “guerra fredda”, dal secondo dopoguerra agli anni Sessanta, corrispose un panorama letterario complesso, segnato da crisi e disorientamento. Su questo sfondo si imposero, non come figure marginali, ma come americani rappresentativi, narratori ebrei e afro-americani che anticiparono la tendenza al multiculturalismo dei decenni successivi. Testimoniano il senso di alienazione e di impotenza, diffuso soprattutto tra i giovani, le opere di S. Bellow (1915-2005), Nobel per la letteratura nel 1976, tra cui L'uomo in bilico (1944), Herzog (1964) e Il dono di Humboldt (1975); Il giovane Holden (1951) di J.D. Salinger (n. 1919), venato di ironia e comicità e specchio del linguaggio giovanile del tempo. La protesta contro le oppressive strutture sociali e contro la segregazione razziale trovò spazio nelle pagine de L'uomo invisibile (1952) dell'afro-americano R. Ellison (1914-1994) e in quelle di Gridalo forte (1953) di J. Baldwin (1924-1987), che con La camera di Giovanni (1956) e Un altro mondo (1961) affrontò anche il tema dell'omosessualità; la condizione ebraica nelle città, contrassegnata da povertà e squallore, venne, invece, descritta ne Il commesso (1957) e ne Gli inquilini (1971) di B. Malamud (1914-1986), che insieme al già citato S. Bellow, a I.B. Singer (1904-1991) e a P. Roth (n. 1933) si inserì nella tradizione yiddish, conservandone la vena dolorosa e lo humour fantastico. Altro grande interprete del disagio profondo di quegli anni, segnati anche dall'impegno americano nella guerra in Vietnam, N. Mailer (n. 1923) esordì con un romanzo antimilitarista Il nudo e il morto (1948), per poi raccontare i miti, i sogni (Un sogno americano è del 1965) e le “malattie” di un Paese segnato da forti contraddizioni ed esprimere il suo dissenso, annullando provocatoriamente sul piano stilistico le barriere tra i diversi generi. La lucida e graffiante critica della realtà politico-sociale statunitense proseguì con Myra Breckinridge di G. Vidal (n. 1925) e con A sangue freddo (1966) di T. Capote (1924-1984). In ambito poetico si distinsero due scuole: quella dei poeti “confessionali”, tra cui ricordiamo R. Lowell (1917-1977), W.D. Snodgrass (n. 1926), Th. Roethke (1908-1963), S. Plath (1932-1963) e A. Sexton (1928-1974), le opere dei quali sono contrassegnate da una torturata analisi di sé, e la Black Mountain School, con R. Creeley (n. 1926), D. Levertov (1923-1997) e Ch. Olson (1910-1970), improntata a una massima libertà metrica e fautrice di una poesia “dinamica”, in cui il rapporto tra corpo e verso è primario. Quest'ultima influenzò, in qualche modo, gli scrittori e i poeti della Beat Generation, tra cui W. Burroughs (1914-1997), non esente dalla lezione surrealista, J. Kerouac (1902-1969), L. Ferlinghetti (n. 1919), A. Ginsberg (1926-1997) e G. Corso (1930-2001), che cercavano nei viaggi, nella mistica orientale, nella sfrenatezza sessuale, nell'alcool e nelle droghe, la piena, libera e anticonformistica espressione della propria personalità, riflessa poi in uno stile e in un linguaggio multiformi e distorti e in una ricerca di spontaneità e immediatezza, di grande impatto popolare, come nelle poesie-canzoni dell'ultimo Ginsberg. Il teatro statunitense, che aveva avuto in E. O'Neill il suo iniziatore, attraversa ora un periodo particolarmente fecondo con opere quali Morte di un commesso viaggiatore (1949), Il crogiuolo (1953) e Uno sguardo dal ponte (1955) di A. Miller (1915-2005) e Lo zoo di vetro (1945), Un tram chiamato desiderio (1947) e La gatta sul tetto che scotta (1955) di T. Williams (1911-1983). ║ Tra postmoderno e multiculturalismo: il definitivo tramonto del sogno americano portò, negli anni Settanta, a una revisione e a un ripensamento delle passate esperienze che si traducono, in ambito letterario, nell'annullamento del romanzo inteso come mezzo critico per analizzare la realtà, con un conseguente ripiegamento sul privato e un'introspezione psicologica nuova. La scrittura non riflette più la realtà, ma la distorce, per raccontare con toni surreali, incubi, contorsioni mentali, atmosfere gotiche e fantascientifiche: appartengono a questo filone, K. Vonnegut (n. 1922), J. Purdy (n. 1923), Th. Pynchon (n. 1937), D. Barthelme (1931-1989), W. Gaddis (1922-1998), J. Hawkes (1925-1998), R. Federman (n. 1928) e P. Auster (n. 1946). Il romanzo riprese forma con H. Robbins (1916-1997), attento e smaliziato cantore della vita quotidiana, E.L. Doctorow (n. 1931), interessato a temi sociali e storici, J. Updike (n. 1932) autore di una saga sull'uomo medio americano (Corri, Coniglio, 1960; Il ritorno di Coniglio, 1971; Sei ricco, Coniglio, 1982; Riposa, Coniglio, 1991) e J. Irving (n. 1942), autore del best seller Il mondo secondo Garp (1978) che, tra realismo e toni grotteschi, ritrae la moderna società americana. Il romanzo etnico ebbe soprattutto voce femminile e multiculturale: ricordiamo le nere P. Marshall (n. 1929), T.C. Bambara (1939-1995), G. Jones (n. 1949), A. Walker (n. 1944), G. Naylor (n. 1950) e T. Morrison (n. 1931, premio Nobel nel 1993), le sino-americane M.H. Kingston (n. 1940) e A. Tan (n. 1952) e L.M. Silko (n. 1948), portavoce, insieme ai colleghi uomini N. Scott Momaday (n. 1934), J. Welch (1940-2003) e D. Niatum (n. 1938), delle ragioni e dei pensieri dei nativi americani. La stessa frammentazione etnica caratterizzò il panorama della poesia, che risentì dell'influsso delle scuole prima citate, e in cui la tradizione afro-americana è quella più rappresentata: alla figura storica di R. Hayden (1913-1980), si affiancarono E. Knight (1931-1991) e M. Harper (n. 1938), la cui scrittura oscilla tra ritmi blues e jazz. G. Brooks (1917-2000), J. Jordan (1936-2002) e S. Sanchez (n. 1935), tra le altre, ribadirono la preminenza delle donne nel genere poetico di quegli anni, conseguenza del neonato movimento femminista. R. Carver (1939-1988), G. Paley (n. 1922), T. Olsen (n. 1913), J. Mc Inerney (n. 1956), D. Leavitt (n. 1962) furono i maggiori esponenti di quel minimalismo che nella forma del racconto e in un'attenta cura stilistica trovò la sua espressione più felice. Nel genere poliziesco si segnalarono M. Spillane (n. 1918), M. Crichton (n. 1942) e il già citato P. Auster (n. 1946), tutti in un certo senso debitori dei grandi autori del genere noir quali l'inglese trapiantato americano J.H. Chase (1906-1985), R. Chandler (1888-1959) e D. Hammett (1894-1961); in quello giudiziario, fortunatissimo, S. Turow (n. 1949) e J. Grisham (n. 1955), e in quello del cosiddetto “medical thriller” P. Cornwell (n. 1956) mentre I. Asimov (1920-1992), R. Heinlein (1907-1988), Ph.K. Dick (1928-1982) e N. Spinrad (n. 1940) svilupparono il romanzo di fantascienza e S. King (n. 1946) il racconto horror. Tra le scrittrici, che testimoniarono la riscoperta dell'identità femminile, M. McCarthy (1912-1989), S. Sontag (1933-2004), P. Highsmith (1921-1995) ed E. Jong (n. 1942). I testi di E. Albee (n. 1928) - Il sogno americano (1961), Chi ha paura di Virginia Woolf? (1962) - insieme a quelli di A. Kopit (n. 1937) e di S. Shepard (n. 1943), proseguirono validamente la tradizione teatrale, innovata da autori quali D. Mamet (n. 1947), R. Wilson (n. 1941) e dagli sperimentalismi dei circuiti alternativi dell'Off Broadway e dell'Off-off-Broadway, che con il Living Theatre, l'Open Theatre e i vari teatri “di strada” e “di guerriglia” cercarono nuove forme di rappresentazione (i cosiddetti happening), e rifletterono, nei temi e nel linguaggio sempre più innovativo e libero, gli aspetti più roventi della realtà sociale, per assumere un ruolo di guida nel teatro contemporaneo.

ARTE

Architettura: la più antica testimonianza architettonica del Paese è costituita dall'insediamento di Saint Augustine, fondato nel 1565 dai coloni spagnoli sulla costa atlantica della Florida. Successivamente allo sviluppo di tali costruzioni a carattere prevalentemente militare (presidios), commerciale (pueblos) o religioso (missiones) e fino a tutto il XVIII sec., si ebbe l'edificazione di chiese in pietra di architettura influenzata dagli stili rinascimentale e barocco (cattedrale di Saint Augustine). I coloni inglesi, invece, sia per le convinzioni etico-religiose sia per le difficili circostanze ambientali, iniziarono tardi a maturare compiuti progetti urbanistici e architettonici. Nel New England si diffusero tipologie edilizie come il balloon frame, nelle quali il legno era impiegato quale primo materiale di costruzione. Negli Stati anglosassoni meridionali, viceversa, dove fino a tutto il XVII sec. l'unica città di una certa rilevanza fu Williamsburg, i latifondisti fecero costruire ville notevoli per dimensioni e sfarzo. Con lo sviluppo economico e urbanistico del XVIII sec. si impose, soprattutto nelle città del Nord e dell'Est, il gusto architettonico della madrepatria britannica che perdurò fino a tutto il XIX sec., nonostante la conquista dell'indipendenza (1783) avesse fatto emergere l'esigenza di un'architettura nazionale. Il primo periodo repubblicano (1789-1829) fu contrassegnato dall'influenza di R. Adam. Gli edifici pubblici e quelli privati residenziali delle grandi città furono improntati a uno stile neoclassico, considerato massima espressione della civiltà. In questo periodo determinante fu l'operato dell'architetto-presidente T. Jefferson (il Campidoglio di Richmond, Virginia; i colonnati e la rotonda dell'università di Charlottesville). Un analogo stile caratterizza il Campidoglio e la Casa Bianca di Washington, che costituirono il modello per tutti gli edifici pubblici delle altre città statunitensi. Il secondo periodo repubblicano (1829-76) fu segnato da un eclettismo formale mutuato dalle contemporanee esperienze europee: il Neogotico inglese si manifesta nella cattedrale di St. Patrick a New York, lo stile Tudor in molti edifici universitari. Nella seconda metà del XIX sec., personalità come L.H. Sullivan e movimenti come la scuola di Chicago contribuirono ad affrancare l'architettura statunitense dalla sudditanza europea. La ricerca della massima funzionalità e i progressi tecnologici portarono, di pari passo con l'aumento di valore delle aree urbane, alla realizzazione dei primi grattacieli, che diventarono presto l'elemento più tipico del panorama urbano. Alla progettazione delle grandi città americane, cui è spesso sottesa l'attività di studi professionali organizzati come vere e proprie industrie, si contrappose la struttura del suburbio, organizzato in una serie di case unifamiliari accostate, negazione di ogni concetto di aggregato urbano. Nella prima metà del XX sec., un fondamentale apporto alla ricerca architettonica fu dato da F.L. Wright, discepolo e continuatore di Sullivan, formatosi sull'esperienza della scuola di Chicago. Negli anni Trenta, l'arrivo negli S. di alcuni grandi architetti tedeschi (W. Gropius, L. Mies van der Rohe, M. Breuer, E. Mendelson), costretti all'esilio con l'avvento del Nazismo, diede un grande impulso all'architettura americana, destinato a esaurirsi solo nel secondo dopoguerra, quando il modello razionalista fu rimesso in discussione in favore di soluzioni più complesse e plasticamente elaborate. Di questo rinnovamento sono già significative testimonianze il progetto del Lincoln Center (P. Johnson, 1958) e l'edificio della General Motors a Warren, Michigan (E. Saarinen, 1956). La rottura della continuità rispetto al passato può dirsi compiuta con le opere di L. Kahn e P. Rudolph. Accanto a progetti dimensionalmente imponenti come il World Trade Center a New York (M. Yamasaki, 1972), la Sears Tower a Chicago (SOM, 1974), il World Financial Center a New York (C. Pelli, 1981-87), vanno ricordati alcuni interessanti progetti di edilizia museale, come il National Air and Space Museum (studio Hellmuth, Obata e Kassabaum, 1976), l'High Museum ad Atlanta e il Getty Center a Los Angeles (R. Meier, 1983-96), e di edilizia residenziale, come Twin Parks North-East, Bronx (R. Meier, 1969-72) o Battery Park City a New York (piano generale, Cooper, Eckstut Ass., 1979-93). ║ Pittura: in epoca coloniale, a causa della rigida morale puritana, l'attività artistica si limitò all'esecuzione di ritratti da parte di pittori itineranti, per lo più rimasti anonimi, opere che a volte rivelano qualità di ingenuità e freschezza, nonostante la scarsa tecnica. Soltanto dalla metà del XVIII sec. emersero personalità definite, la cui produzione si ispirava a modelli sia britannici sia italiani. Tra questi artisti figurano J. Smiberg, formatosi in Inghilterra e in Italia, P. Vanderlyn, R. Feke, lo svedese G. Hesselius, l'inglese J. Blackburn e G. Stuart. A quest'ultimo si deve una famosa serie di ritratti di G. Washington. Soprattutto rilevanti, nella seconda metà del secolo, furono le personalità di B. West e J.S. Copley. Formatisi in Europa, si produssero nella ritrattistica e nella pittura di soggetto storico, ispirata ad avvenimenti della recente storia americana. Successore di Reynolds alla presidenza della Royal Academy britannica, West divenne un punto di riferimento per i giovani pittori americani che andavano a studiare in Europa. Agli albori dell'Ottocento l'arte americana riuscì a trovare elementi di originalità nella pittura di paesaggio e di genere, di cui sono rappresentanti W. Allston, J. Vanderlyn e C.W. Peale. Attivo anche come organizzatore culturale, Peale creò nel 1806 il nucleo della Pennsylvania Academy, il primo museo e pinacoteca negli S. La pittura di paesaggio di Peale e Allston contribuì alla formazione della Hudson River School, la prima scuola pittorica americana, i cui esponenti tendevano a una rappresentazione realistica delle bellezze naturali della valle dell'Hudson. Oltre a T. Cole, animatore del gruppo, fecero parte della scuola A.B. Durand, J.F. Fensett, S. Eastman, G. Catlin (che si interessò anche alle espressioni artistiche dei nativi americani). Un posto particolare occupa J.J. Audubon, autore di raffinati acquerelli e disegni di fauna americana. Alla fine dell'Ottocento le avanguardie europee trovarono fertile terreno nell'arte di pittori statunitensi come W. Homer, G. Inness, F. Duveneck, M. Cassatt, sensibili alla lezione dell'Impressionismo francese. L'incomprensione del pubblico verso la loro ricerca condusse alcuni di loro all'autoisolamento; tra questi W. Homer, T. Eakins, pittore di crudo realismo, e A.P. Ryder, considerato l'iniziatore di quella corrente surrealista che rappresenta una costante della pittura americana. Altri, come J.A. Whistler, M. Cassatt e J.S. Sargent, si trasferirono addirittura in Europa. Il XX sec. si aprì con eventi culturali destinati a segnare gli sviluppi dell'arte pittorica statunitense: la mostra del Gruppo degli Otto (New York, 1908) e l'Armory Show, organizzato da A. Stieglitz nel 1913 e dedicato all'avanguardia europea postimpressionista. Il Gruppo degli Otto, politicamente progressista, esprimeva contenuti nuovi in uno stile estremamente conservatore; i modernisti americani, viceversa, pur scegliendo soggetti convenzionali, ricercavano soluzioni stilistiche alternative alla tradizione realistica americana. I movimenti d'avanguardia più interessanti di quegli anni furono il movimento futurista (principali esponenti J. Stella e M. Weber), il Sincronismo (M. Russel e S. MacDonald-Wright) e il Dadaismo americano che, stimolato dalla presenza degli europei M. Duchamp e F. Picabia, ebbe in Man Ray il suo più significativo esponente. Un ruolo di primo piano nella diffusione dell'arte d'avanguardia fu svolto, dal 1920, dalla Société Anonyme, fondata da Duchamp, Man Ray e K. Dreier. Ugualmente significative le correnti del Realismo americano (precisionisti, regionalisti, American scene painters) che negli anni della crisi economica si ispirarono a scenari metropolitani o provinciali per esprimere le condizioni di miseria ed emarginazione delle classi subalterne. Meritano un cenno le personalità di J. Marin, fautore di un espressionismo semiastratto che trovava la sua fonte d'ispirazione nella città di New York, e di E. Hopper, creatore di desolate atmosfere urbane. L'esodo verso gli S. di artisti europei come M. Beckmann, P. Mondrian, F. Léger e M. Ernst, dovuto dalla tragica situazione politica susseguente all'affermarsi del Nazismo, favorì lo straordinario successo dell'Astrattismo, che fino alla fine degli anni Cinquanta fu la tendenza più vitale nell'arte americana: basti pensare all'action painting, come fu definita l'arte di J. Pollock, W. de Kooning e altri. Alla fine degli anni Cinquanta, in reazione all'idealismo e all'introspezione dell'Espressionismo astratto, si ebbe l'irrompere sulla scena artistica americana della pop art, caratterizzata dall'uso di oggetti d'uso comune, proposti come simbolo della moderna civiltà consumistica, e dall'iterazione seriale del prodotto artistico. R. Rauschenberg, C. Oldenburg, J. Johns, N. Lichtenstein, J. Rosenquist, A. Warhol ne furono gli esponenti più rappresentativi. La ricerca intrapresa con la pop art sfociò poi nell'Iperrealismo, teso alla riproduzione illusionistica della realtà (M. Morley, A. Leslie, C. Close, J.C. Clarke). Dagli inizi degli anni Sessanta numerosi furono i movimenti artistici non figurativi portati all'attenzione del grande pubblico da memorabili eventi espositivi (Toward a new abstraction, New York, 1963; Post-painterling abstraction, Los Angeles, 1964). La mostra The responsive eye (New York, 1965) segnò invece il debutto dell'optical art, basata sulla dinamica della percezione e sull'illusione ottica. L'irrequietezza dell'ambiente artistico americano si palesa nella nascita di molteplici indirizzi di ricerca: sotto l'espressione color fìeld paintings si raggruppano opere di H. Frankenthaler, K. Noland e J. Olitski; hard-edge painting sono state definite opere dalle forme nettamente delimitate di E. Kelly, L.P. Smith, A. Held, F. Stella, shaped canvas quelle di Ch. Hinman, P. Feeley e ancora di F. Stella; pittura monocromatica le opere di R. Ryman e R. Mangold. Systemic painting e minimal art rientrano nell'ambito più ampio dell'arte concettuale (A. Martin, J. Baer, W. Insley, D. Bannard, R. Bladen, R. Morris, D. Judd, C. Andre, S. LeWitt, D. Flavin, R. Smithson, ecc.). Viene ora portato alle estreme conseguenze il processo intrapreso dalla pop art, trasformando il prodotto artistico da oggetto fisico a immagine mentale, attraverso l'uso di video, definizioni, formule (J. Kosuth, D. Huebler). Interessanti le esperienze della computer art (P. Citron, J. Whitney, A.M. Noll) e dell'electric art (Chryssa, S. Antonakos, B. Nauman), che sfrutta la luce artificiale come mezzo espressivo. Con gli anni Ottanta si assistette, analogamente a quanto accadde in Europa, al ritorno del figurativo, che trovò nell'arte della strada (murales e graffiti) un'espressione tra le più fresche e originali. Tra gli artisti più noti ricordiamo: D. Salle, R. Longo, C. Sherman, K. Haring, J.M. Basquiat. ║ Scultura: la produzione scultorea rimase a lungo legata ai modi neoclassici e accademici (H.K. Brown, C. Mills, Th. Ball, E.D. Palmer). Di impostazione realistica è l'opera di J.Q.A. Ward, mentre W. Rimmer fu il precursore del Naturalismo del XX sec. Dagli anni Trenta emersero le personalità di W. Zorach, G. Lachaise, R. Laurent, J. Flannagan, J. Storr, fautori di una monumentalità semplificata delle forme. Ascrivibili all'ambito dell'Espressionismo astratto sono le opere di T. Roszac e I. Lassaw. La pop art determinò il superamento della distinzione netta tra pittura e scultura, come si evince dal percorso creativo di artisti quali E. Kienholtz, J. Chamberlain e G. Segal, antesignano dell'Iperrealismo di D. Hanson e J. De Andrea. Nel solco della tradizione propriamente scultorea si inseriscono artisti come L. Nevelson, L. Bourgeois e A. Calder il quale, con i suoi mobiles e i suoi stabiles, è considerato un maestro dell'arte moderna.

MUSICA

Per molto tempo il rigorismo religioso dei colonizzatori inglesi impedì ogni sviluppo all'espressione musicale. Il primo concerto pubblico di musica profana fu organizzato nel 1731 a Boston, dove nel 1754 fu aperta una sala da concerti. Le prime città ad accogliere eventi musicali di una certa importanza furono Filadelfia, New York (il primo concerto vi si tenne nel 1736) e Charleston. Qui fu rappresentata nel 1755 la prima opera teatrale americana, Flora or hob in the well. Tra i primi compositori statunitensi che ebbero pubblicate le proprie opere figurano F. Hopkinson, J. Lyon, J. Anter, W. Billings (il quale nel 1770 pubblicò un New England psalm singer e varie raccolte vocali) e il bostoniano W. Selby. La produzione musicale propriamente statunitense consistette, oltre che in inni e salmi religiosi, in canti patriottici tuttora molto popolari (Star-spangled banner, del 1814, è diventato l'inno nazionale degli S.); mentre altre forme musicali furono importate dall'Europa insieme a cantanti, concertisti, compositori che all'inizio del secolo affluirono numerosissimi per animare le società musicali che si andavano costituendo in tutto il Paese. Nel 1845 fu rappresentata l'opera Leonora, dello statunitense W.H. Fry, e nel 1855 Rip Van Winkle (su soggetto originale americano) di G.F. Bristow. Nelle composizioni di L.M. Gottschalk, poi, si manifestò già quella tendenza ad attingere alle esperienze musicali negroamericane, che sarà esplicitata con maggiore consapevolezza da musicisti come G. Gershwin, F. Grofé e P. Whiteman, fino alle avanguardie contemporanee. Dalla seconda metà del XIX sec. furono fondate numerose orchestre nelle maggiori città americane (New York, Boston, Chicago, Cincinnati, Los Angeles) e la pratica musicale fu favorita dall'istituzione di scuole e cattedre universitarie. Quella istituita ad Harvard fu occupata da J.K. Payne, formatosi in Germania, maestro e ispiratore del cosiddetto gruppo di Boston; all'università di Yale insegnò invece G.W. Chadwick, direttore del New England Conservatory di Boston e autore, tra l'altro, dell'opera verista The Padrone (1912). Da citare anche E. Nevin, celebre autore di romanze, e E. MacDowell, artista eclettico, sensibile ai temi del folclore americano. Nella prima metà del XX sec. si affermarono i talenti musicali di H.F.B. Gilbert, allievo di MacDowell, e C.E. Ives, entrambi capaci di elaborare in maniera originale il patrimonio della musica popolare statunitense. Tra i compositori appartenenti alle generazioni successive è viva la tendenza alla ricerca di uno stile musicale nazionale: così è per V. Thomson e A. Copland, che attinsero al jazz e al folclore. Di fondamentale importanza è l'opera di G. Gershwin, caratterizzata da un felice amalgama tra jazz, musica popolare e musica colta europea. L'esperienza della scuola di Vienna ebbe vaste ripercussioni nel mondo musicale statunitense, influenzato anche dall'opera di E. Varèse, trasferitosi negli S. dalla Francia nel 1915. Alla sperimentazione di nuovi mezzi espressivi si indirizzarono M.B. Babbitt, J. Cage (punto di riferimento delle avanguardie statunitensi), E. Brown, M. Feldman, la ricerca musicale dei quali sondò le possibilità di elaborazione sonora di sintetizzatori e apparecchiature elettroniche. A partire dagli anni Sessanta si affermò la tendenza compositiva nota come minimal music, basata sulla variazione minimale di cellule ritmico-melodiche. Esponenti di questo movimento furono La Monte Young, T. Riley, S. Reich, P. Glass. Notevole, anche per l'opera di divulgazione musicale svolta, fu L. Bernstein, direttore d'orchestra e autore di fortunate commedie musicali. Nel corso del XX sec. proseguì quel fecondo processo di contaminazione tra musica colta europea e le più autentiche espressioni nazionali come il jazz, il ragtime e il blues, nati per accompagnare la danza e diventati, negli anni Trenta, generi di successo grazie soprattutto alle grandi orchestre bianche. Con alcuni grandi jazzisti del periodo classico, come B. Beiderbecke, D. Ellington, B. Goodman e W. Herman (per il quale Stravinskij scrisse, nel 1946, il suo Ebony concerto), si realizzò di fatto il superamento dello steccato che, nella musica europea, separava la musica d'arte da quella di consumo. Parallelamente, la pop music, che sino dall'Ottocento aveva prodotto un repertorio di canzoni popolari, a partire dagli anni Sessanta diede origine a forme di ibridazione tra folk, musica classica, jazz e rock, confermando la vocazione della musica statunitense a mescolare intrattenimento e ricerca. Oggi, jazz e pop sono stabilmente entrati nelle istituzioni musicali statunitensi, avendo codificato propri sistemi didattici e fondato le proprie scuole. A ciò reagiscono, ciclicamente, fenomeni musicali di rottura, quali sono stati il punk alla fine degli anni Settanta e, negli anni Ottanta-Novanta, il rap e la musica techno, che utilizza la tecnica di campionamento digitale dei suoni.
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